SOLO DUE ORE
 

recensione solo due ore

 
Solo sedici isolati separano un testimone, detenuto nella prigione della corte, dall’aula del Gran Giurì dove deve deporre. Un ispettore di polizia (Bruce Willis invecchiato e decadente nell’aspetto per esigenze di scena ma ancora svelto di mira) sta staccando dal suo turno quando riceve l’incarico di accompagnare il teste in tribunale. Troverà uno strano tipo, un giovane logorroico, pieno di fissazioni e che ama fare indovinelli al prossimo. Dovrebbe filare tutto liscio ma appena fuori dalla cella, un paio di pallottole sparate ai loro danni rendono immediatamente chiaro che qualcuno non ha nessuna intenzione di farli approdare a destinazione. Chi siano i mandanti dell’assassinio sarà chiarito subito: il giovane ha assistito a un tentativo di corruzione da parte del Dipartimento di Polizia e potrebbe far saltare equilibri,  
 
carriere e portare allo scoperto il marcio che cova dietro certe operazioni poco chiare. Richard Donner (classe 1930, Arma Letale, I Goonies) ordisce, aiutato da un montaggio al cardiopalma, una classica trama debordante azione nel senso più sincero e onesto del termine. Cita alcuni capisaldi: il pullman crivellato di proiettili, il faccia a faccia col nemico e gli adrenalinici inseguimenti spettacolari di rito. Non beffa né imbroglia e re-  
gala esattamente quello che ci si aspetta: due ore scandite quasi in tempo reale che scorrono senza intoppi e lasciano il palato soddisfatto. Willis indossa i panni dell’agente disilluso, malandato amico dell’alcool e nemico di se stesso (dice di sé al ragazzo: “Non sono una brava persona.”) senza strafare e con la credibilità del mestiere. Mos Def (visto ne “La Guida Galattica per Autostoppisti” nonché autore hip hop) regge bene la parte del forrest gump delinquetello che ha il grande sogno di aprire un negozio di pasticceria, perennemente stupito della vita e convinto fatalista. Chi deve fare la cosa giusta la fa, chi deve pagare, paga come nella miglior tradizione conservatrice che vuole la Giustizia trionfante su tutto. Si digerisce anche il finale, esattamente quello che ti aspetti e, forse, vuoi.

(di Daniela Losini)

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