|
|
|
|
|
|
Dagli oggetti del
desiderio ai soggetti
del desiderio. La
pellicola si apre
su una carrellata
di rossetti, belletti
e profumi per poi
soffermarsi sulla
trasognata Mirabelle,
Claire Danes, sofisticata
e arresa sposa del
sentimento a tutti
i costi, palpitante
nei silenzi, convincente
e intensa musa dell’Amore
disperato. Attende
dietro il bancone
di un lussuoso grande
magazzino sulla quinta
strada, che qualcuno
le rischiari l’esistenza
portando con sé
un po’ di luce
affettiva. Incontra
uno squinternato,
Jeremy (Jason Schwartzman
separato alla nascita
da Luke Wilson, vedi
Tenenbaum) che si
occupa di amplificatori,
possiede aspirazioni
grafico-artistiche
e scambia mentine
per profilattici.
Incoccia nel maturo
Ray (Steve Martin,
egli stesso autore
dell’omonimo
romanzo che tradotto
significa Commessa,
da non |
|
|
|
confondersi
con
le nostrane
Commesse
della
tv nazionale)
facoltoso
imprenditore
dagli
amorosi
sensi
affettivi
raffreddati
(quelli
erotici
sono
invece
ben
oliati)
forse
da troppa
esperienza
o forse
per
una
connaturata
incapacità
alla
sensibilità.
Jeremy
ripete
quasi
sempre,
come
ipnotizzato
“Cool!”
(tradotto
nello
stantio
“Fico!”)
offre
noiose
ma solide
stranezze
mentre
Ray
fa regali,
riempie
vuoti
emotivi
con
gesti
co-
|
|
|
|
stosi
di danaro
ma mai di
reale tenerezza.
Trama giocata
sul filo spinato
dei rapporti
e dei legami
tra le persone:
fragili e
vulnerabili
legacci che
alla prima
smagliatura
di sofferenza,
si sfaldano.
Si racconta
del corteggiamento
amoroso, materia
difficile.
Certi gesti
hanno pari
possibilità
di repulsione
o intenerimento.
Si racconta
di certe piccole
ossessioni
e della faccia
noiosa dell’amore,
quella della
quotidiana
normalità:
silenzi, imbarazzi,
molti vuoti.
La voce narrante
fuori campo
non aggiunge
nulla. Semmai
ridonda sottolineando
inutilmente
passaggi che
strizzano
volonterosi
al melodramma
già
di per sé.
Quando capisci
di amare qualcuno?
Quando ti
abbandona
o lo abbandoni
ma sempre
molto, molto
tempo dopo,
racconta la
voce. Basterebbe
seguire gli
sguardi degli
attori o la
scena, esprimono
tutto. Anand
Tucker (Hilary
e Jackie)
dirige discontinuo
oscillando
tra l’ermetico
e l’eccesso
di spiegazione
senza riuscire
a trovare
sempre il
giusto equilibrio,
specie in
chiusura ma
sbavature
e indecisioni
a parte, riesce
a insinuare
amarognole
verità.
(di Daniela
Losini )
|
-
Scrivi la tua
recensione! |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2005.
Tutti i diritti sono riservati.
|
|
|