LA SECONDA NOTTE DI NOZZE
 

- recensione -

 
Ancora una volta il microcosmo bolognese si pone come punto di partenza e come il centro narrativo dell’ultimo film di Pupi Avati: siamo nel capoluogo emiliano dell’immediato dopoguerra, tra portici ingombri di macerie e strade attraversate da jeep di soldati. Ma presto la scena abbandona la città delle due torri per trasferirsi nella calda terra pugliese, vicino a Bari, all’interno di un piccolo castello e in mezzo a larghi spazi aperti, battuti continuamente dal sole e dal vento. La seconda notte di nozze narra una storia fatta di miseria e di disperazione, di compromessi e adattamenti, di piccoli amori e di illusioni con poche speranze: è il mondo di Pupi Avati, un cliché filmico legato al suo nome, in cui hanno il ruolo di protagonisti le piccole cose della quotidianità, al di là dell’autobiografismo e oltre il ricordo no-  
 
stalgico; osserviamo, con un certo stupore dai giorni nostri, personaggi semplici ma dalla psicologia mai banale, con sfumature di malessere accennate e venature di una sofferenza mai gridata ma solo racchiusa nelle piccole stanze di ambienti familiari legati al passato. È la storia di un malato di mente (un bravissimo Antonio Albanese), o tale giudicato pirandellianemente parlando, che si innamora  
della vedova del fratello giunta da Bologna (Katja Ricciarelli): e la sua illogica scelta d’amore attira su di sé l’ostilità delle zie che vivono con lui, mentre il nipote (il figlio di suo fratello, interpretato da un quanto mai versatile Neri Marcorè) approfitta con cinismo della sua bontà e della sua ingenuità per portare via soldi e quant’altro. Ma è il racconto delicato di un amore impossibile e non ricambiato, di un uomo che dedica il suo tempo a sminare i terreni che nascondono le bombe e le mine della guerra appena terminata: una vicenda che si svolge tra le piccole cose appunto, tra bomboniere confezionate in casa e sogni di gloria legati al cinematografo, tra pezzi di motori d’auto che valgono come un tesoro e bambini che osservano divertiti le esplosioni delle bombe fatte saltare per aria, come per gioco. È il mondo di una volta, in cui tra le persone ci si dava del voi, anche tra madre e figlio: un mondo che appunto non c’è più e che rivive intensamente soltanto nelle pellicole di Pupi Avati.

(di Michele Canalini )

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