SAW 2
 
 

(°)

 

(** 1/2)

Non basta la prima scena, davvero notevole, in cui la vittima malcapitata deve scegliere tra un dolore indicibile e la morte certa; né il momento in cui la ex drogata del gruppo subisce una terribile pena del contrappasso, trafitta da centinaia di siringhe... non bastano neanche la luce fredda e l'atmosfera cupa a rendere "Saw 2" un thriller godibile e appassionante. L'assassino è Jigsaw l'Enigmista, come nel primo film "Saw - L'enigmista"; l'attore Tobin Bell regala al killer un volto slavato e gelido, che per un attimo si apre in un ghigno sottilmente inquietante. Jigsaw è malato di cancro e deciso a punire tutti quelli che sono incapaci di capire il vero valore della vita. Tra le cavie riunite nel sotterraneo, pedine del perverso gioco dell'assassino, si trova anche il figlio del poliziotto Eric Matthews. Il detective (uno sbiadito Donnie Wahlberg) già nel-   L’avevamo lasciato là, con uno di quei colpi di scena degni di questo nome, rialzarsi all’improvviso e sparire dietro una pesante porta, dopo aver fatto molto parlare di sé, tra scandali veri o presunti (il codacons se la prese addirittura con il manifesto); lo ritroviamo ora, ad un anno esatto di distanza, togliersi il cappuccio e sfidare faccia a faccia il collerico poliziotto a nemmeno 10 minuti dall’incipit del film, freddo, spietato, glaciale come lo ricordavamo. E’ “Jigsaw”, ovvero l’enigmista come è stato ribattezzato dalla stampa. Rispetto alla pellicola d’esordio, piccolo grande caso cinematografico della stagione appena trascorsa, cambia quasi tutto ma non la sostanza. Basta la prima sequenza, virata di sinistra luce verdognola, per essere di nuovo gettati nell’incubo macabramente allestito e orchestrato dall’efferato psicopatico,
 
 
 
la prima pellicola indagava sugli omicidi, e ora, coinvolto personalmente nelle indagini, inizia un disperato testa a testa con l'avversario. Ogni vittima è messa in una situazione di estremo pericolo in cui tuttavia può (se è incredibilmente fortunata... o dotata di un autocontrollo poco verosimile) trovare l'indizio che apra una via di scampo. La salvezza ha inevitabilmente costi altissimi... come mutilazioni ed efferatezze varie ai danni degli altri prigionieri di Jigsaw. L'idea originale e ben congegnata del primo film, qui non è più in grado di reggere per due ore senza annoiare; sa tutto di già visto e dopo mezz'ora la pellicola diventa decisamente monocorde e sgradevole: un susseguirsi di macelleria che precipita nello splatter, sfiorando momenti di involontaria comicità. La brutalità e il sangue sono talmente ostentati e compiaciuti da risultare ridicoli e da perdere ogni connotazione drammatica, diventando solo causa di ribrezzo nello spettatore. Al regista Darren Lynn Bousman sembra importare molto di più provocare nausea in chi guarda anziché confezionare colpi di scena o momenti di tensione. Manca il coinvolgimento, l'angoscia, la crudeltà di una violenza suggerita anzichè sbattuta in primo piano ogni secondo, la capacità di concertare il racconto. La fine cerca di farsi bella con un'affrettata sorpresina che sbuca fuori all'ultimo minuto e la conclusione della vicenda resta in sospeso, come nel primo Enigmista, facendo sospettare (purtroppo) che ci si debba aspettare un indesiderato seguito.... (di Margherita Sanjust di Teulada)

















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  deciso a impegnare gli ultimi giorni della sua vita a far apprezzare la vita a chi la vita non l’apprezza a sufficienza. Il lucido meccanismo a orologeria che sosteneva l’intreccio del primo capitolo magari s’è fatto qui un po’ meno lucido, visti alcuni passaggi non proprio ineccepibili (chissà perché il tipo si è intestardito a far fuori tutti i suoi compagni di sventura?) e alcune cadute di stile ad uso e consumo degli effetti gore più sensazionalistici (lui che si taglia la pelle con su scritto il numero è una scena stupida oltre che brutta). Tuttavia Saw II non è solo un film che colpisce là dove aveva mirato (tre – come minimo – le sequenze in cui è quasi impossibile non distogliere lo sguardo, considerati la crudezza delle immagini e il crescere dell’angoscia), non è solo un film che riesce a ripetere un colpo di scena in grado di sorprendere un pubblico già preparato al clamoroso quanto vuoto coup de theatre (e qui invece è tutto fuorché vuoto), ma è soprattutto un film che ha un senso, forse retorico ma morale, più o meno condivisibile ma logico, e una sua esclusiva estetica malata che diventa segno distintivo. Fotografia sporca, colori lividi, interni fatiscenti illuminati da luci al neon taglienti come rasoi, macchina da presa nervosa e moviola che lavora in accelerazioni e ralenty. Questo dal punto di vista formale. Lamiere arrugginite, grossi ingranaggi di metallo pesante, macchine di tortura che scattano in modo inesorabile come trappole per topi, assemblate artigianalmente con bulloni e filo di ferro, scendendo cautamente sul più delicato piano del contenuto, dove si esplica la dialettica corpo/macchina che è la vera cifra stilistica dell’intera serie, all’interno della quale il corpo diviene involucro sistematicamente violentato, lacerato, dilaniato, ridotto alle sue funzioni primarie di carne e sangue, legato al cieco istinto di sopravvivenza. Come per il John Doe di Seven, quello che Jigsaw persegue è un obiettivo morale. Per questo, come il John Doe di Seven, egli sceglie accuratamente le sue vittime. Per questo, come il John Doe di Seven, egli utilizza un vero e proprio contrappasso che porta alla redenzione attraverso il dolore, offrendo loro, diversamente dal John Doe di Seven, la possibilità di salvarsi. Possibilità remota tuttavia possibile, pagata a caro prezzo anche se a conti fatti basta “seguire le regole”. Per tutto questo Jigsaw si conferma un serial killer di gran lunga superiore ai tanti che abbiamo visto, a tutti quelli che con volti ghignanti, con maschere da hockey, armati di coltelli o di motoseghe, hanno sempre ucciso, sempre senza ragione, senza sentimento, senza fantasia. (di Mirko Nottoli)
 
 
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