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Non
basta la prima
scena, davvero
notevole, in
cui la vittima
malcapitata
deve scegliere
tra un dolore
indicibile e
la morte certa;
né il
momento in cui
la ex drogata
del gruppo subisce
una terribile
pena del contrappasso,
trafitta da
centinaia di
siringhe...
non bastano
neanche la luce
fredda e l'atmosfera
cupa a rendere
"Saw 2"
un thriller
godibile e appassionante.
L'assassino
è Jigsaw
l'Enigmista,
come nel primo
film "Saw
- L'enigmista";
l'attore Tobin
Bell regala
al killer un
volto slavato
e gelido, che
per un attimo
si apre in un
ghigno sottilmente
inquietante.
Jigsaw è
malato di cancro
e deciso a punire
tutti quelli
che sono incapaci
di capire il
vero valore
della vita.
Tra le cavie
riunite nel
sotterraneo,
pedine del perverso
gioco dell'assassino,
si trova anche
il figlio del
poliziotto Eric
Matthews. Il
detective (uno
sbiadito Donnie
Wahlberg) già
nel- |
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L’avevamo
lasciato là,
con uno di quei
colpi di scena
degni di questo
nome, rialzarsi
all’improvviso
e sparire dietro
una pesante
porta, dopo
aver fatto molto
parlare di sé,
tra scandali
veri o presunti
(il codacons
se la prese
addirittura
con il manifesto);
lo ritroviamo
ora, ad un anno
esatto di distanza,
togliersi il
cappuccio e
sfidare faccia
a faccia il
collerico poliziotto
a nemmeno 10
minuti dall’incipit
del film, freddo,
spietato, glaciale
come lo ricordavamo.
E’ “Jigsaw”,
ovvero l’enigmista
come è
stato ribattezzato
dalla stampa.
Rispetto alla
pellicola d’esordio,
piccolo grande
caso cinematografico
della stagione
appena trascorsa,
cambia quasi
tutto ma non
la sostanza.
Basta la prima
sequenza, virata
di sinistra
luce verdognola,
per essere di
nuovo gettati
nell’incubo
macabramente
allestito e
orchestrato
dall’efferato
psicopatico,
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la
prima pellicola
indagava sugli
omicidi, e ora,
coinvolto personalmente
nelle indagini,
inizia un disperato
testa a testa
con l'avversario.
Ogni vittima
è messa
in una situazione
di estremo pericolo
in cui tuttavia
può (se
è incredibilmente
fortunata...
o dotata di
un autocontrollo
poco verosimile)
trovare l'indizio
che apra una
via di scampo.
La salvezza
ha inevitabilmente
costi altissimi...
come mutilazioni
ed efferatezze
varie ai danni
degli altri
prigionieri
di Jigsaw. L'idea
originale e
ben congegnata
del primo film,
qui non è
più in
grado di reggere
per due ore
senza annoiare;
sa tutto di
già visto
e dopo mezz'ora
la pellicola
diventa decisamente
monocorde e
sgradevole:
un susseguirsi
di macelleria
che precipita
nello splatter,
sfiorando momenti
di involontaria
comicità.
La brutalità
e il sangue
sono talmente
ostentati e
compiaciuti
da risultare
ridicoli e da
perdere ogni
connotazione
drammatica,
diventando solo
causa di ribrezzo
nello spettatore.
Al regista Darren
Lynn Bousman
sembra importare
molto di più
provocare nausea
in chi guarda
anziché
confezionare
colpi di scena
o momenti di
tensione. Manca
il coinvolgimento,
l'angoscia,
la crudeltà
di una violenza
suggerita anzichè
sbattuta in
primo piano
ogni secondo,
la capacità
di concertare
il racconto.
La fine cerca
di farsi bella
con un'affrettata
sorpresina che
sbuca fuori
all'ultimo minuto
e la conclusione
della vicenda
resta in sospeso,
come nel primo
Enigmista, facendo
sospettare (purtroppo)
che ci si debba
aspettare un
indesiderato
seguito....
(di Margherita
Sanjust di Teulada)
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deciso
a impegnare
gli ultimi giorni
della sua vita
a far apprezzare
la vita a chi
la vita non
l’apprezza
a sufficienza.
Il lucido meccanismo
a orologeria
che sosteneva
l’intreccio
del primo capitolo
magari s’è
fatto qui un
po’ meno
lucido, visti
alcuni passaggi
non proprio
ineccepibili
(chissà
perché
il tipo si è
intestardito
a far fuori
tutti i suoi
compagni di
sventura?) e
alcune cadute
di stile ad
uso e consumo
degli effetti
gore più
sensazionalistici
(lui che si
taglia la pelle
con su scritto
il numero è
una scena stupida
oltre che brutta).
Tuttavia Saw
II non è
solo un film
che colpisce
là dove
aveva mirato
(tre –
come minimo
– le sequenze
in cui è
quasi impossibile
non distogliere
lo sguardo,
considerati
la crudezza
delle immagini
e il crescere
dell’angoscia),
non è
solo un film
che riesce a
ripetere un
colpo di scena
in grado di
sorprendere
un pubblico
già preparato
al clamoroso
quanto vuoto
coup de theatre
(e qui invece
è tutto
fuorché
vuoto), ma è
soprattutto
un film che
ha un senso,
forse retorico
ma morale, più
o meno condivisibile
ma logico, e
una sua esclusiva
estetica malata
che diventa
segno distintivo.
Fotografia sporca,
colori lividi,
interni fatiscenti
illuminati da
luci al neon
taglienti come
rasoi, macchina
da presa nervosa
e moviola che
lavora in accelerazioni
e ralenty. Questo
dal punto di
vista formale.
Lamiere arrugginite,
grossi ingranaggi
di metallo pesante,
macchine di
tortura che
scattano in
modo inesorabile
come trappole
per topi, assemblate
artigianalmente
con bulloni
e filo di ferro,
scendendo cautamente
sul più
delicato piano
del contenuto,
dove si esplica
la dialettica
corpo/macchina
che è
la vera cifra
stilistica dell’intera
serie, all’interno
della quale
il corpo diviene
involucro sistematicamente
violentato,
lacerato, dilaniato,
ridotto alle
sue funzioni
primarie di
carne e sangue,
legato al cieco
istinto di sopravvivenza.
Come per il
John Doe di
Seven, quello
che Jigsaw persegue
è un
obiettivo morale.
Per questo,
come il John
Doe di Seven,
egli sceglie
accuratamente
le sue vittime.
Per questo,
come il John
Doe di Seven,
egli utilizza
un vero e proprio
contrappasso
che porta alla
redenzione attraverso
il dolore, offrendo
loro, diversamente
dal John Doe
di Seven, la
possibilità
di salvarsi.
Possibilità
remota tuttavia
possibile, pagata
a caro prezzo
anche se a conti
fatti basta
“seguire
le regole”.
Per tutto questo
Jigsaw si conferma
un serial killer
di gran lunga
superiore ai
tanti che abbiamo
visto, a tutti
quelli che con
volti ghignanti,
con maschere
da hockey, armati
di coltelli
o di motoseghe,
hanno sempre
ucciso, sempre
senza ragione,
senza sentimento,
senza fantasia.
(di Mirko
Nottoli) |
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