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Il complesso di Almodovar.
Questo è uno
dei mali del cinema
spagnolo. Brillanti
esempi ne sono il
provocatorio, quasi
esclusivamente nel
titolo, "20 céntimetros"
di Ramon Salazar con
una incredibile Monica
Cervera, e questo
Reinas, di Manuel
Gòmez Pereira.
Il loro più
grande difetto è
non sapere mai scegliere
tra il primo Pedro,
quello gioioso e provocatorio
di Tacchi a spillo,
ad esempio, e il secondo,
più maturo,
impegnato e meno sconvolgente,
di "Tutto su
mia madre" e
"Carne Tremula".
Ma non hanno la dote
più importante
del grande regista
spagnola: il coraggio.
Di far ridere, piangere,
urlare. Gli attori
e gli spettatori.
Incatenati al politically
correct che fingono
disperatamente di
combattere, ci offrono
una manieristica (est)etica
del progressismo sessuale.
Reinas è proprio
questo. Con una sceneggiatura
che |
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prometteva
bene,
e molto.
La storia
recente
ci aveva
messo
del
suo,
grazie
alla
riforma
del
Codice
civile
del
primo
ministro
spagnolo
Zapatero,
che
permette
l’unione
in matrimonio
tra
persone
dello
stesso
sesso,
nonostante
le inquietanti
marce
di manifestazione
contrarie
a questa
riforma.
Almodovoriana
e interessante
anche
l’ottica
del
film.
Le Regine,
infatti,
non
sono
gay
particolarmente
estroversi,
ma le
loro
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madri. Di
ogni tipo
e carattere,
comunque adorabili
nonostante
tutto. Gli
ingredienti
per un film
intelligente
e divertente
c’erano
tutti, a partire
dalla presenza
di Carmen
Maura e Marisa
Paredes, in
gran forma.
Tre coppie
di omosessuali
– perché,
tra l’altro,
solo di sesso
maschile?
Va bene infrangere
i tabù,
ma non tutti?-
erano un’ottima
base di partenza
per diramare
la tela delle
trame. Ma
questo non
accade. Manca
il ritmo,
l’arguzia,
l’incoscienza.
Tutto è
troppo ben
confezionato
e soprattutto
prevedibile.
Si ride poco.
E a bassa
voce. Il nostro
senso civico
rimane attorno
allo zero
– scende
sotto quando
il sindacalista
soprappeso
va a letto
con la padrona
tardona…
satira sociale?
Magari-, come
nel film di
Salazar la
presunta diversità
è un
pretesto per
rimarcarla
e non per
rifletterci,
né
tanto meno
per normalizzarla
davvero. Questo
film è
un acquario
di stereotipi,
quasi più
conservatore
di chi se
ne sente minacciato.
Innocuo e
inoffensivo
e dannoso,
per quel poco,
solo per chi
vorrebbe celebrare
e difendere.
Il film riesce
a farsi guardare
per la discreta
performance
del cast e
per poche
scene ben
girate e interpretate.
Ma nel complesso
è un’ottima,
eccezionale
occasione
persa. Tra
le curiosità
va rilevato
il cameo del
distributore
italiano del
film: Andrea
Occhipinti,
della Lucky
Red.
(di Boris
Sollazzo)
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