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recensione proof
la prova
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Pareri contrastanti
al massimo su questo
film presentato all’ultimo
festival di Venezia.
Qualche critico lo
ha definito "puerile
e retorico" o
lo ha giudicato "senza
infamia e senza lode",
qualche altro "molto
emozionante e vero"
oppure ha parlato
di "dramma elegante,
intelligente".
John Madden, ex regista
teatrale, ha al suo
passivo un flop ("Il
mandolino del capitano
Corelli" del
2002) e al suo attivo
un grande successo
("Shakespeare
in love" del
1998). Questa è
senz’altro la
sua opera migliore
e attesta che Hollywood
non sforna soltanto
martellanti blockbuster
spettacolari. "Proof"
(tratto dal dramma
del premio Pulitzer
David Auburn, rappresentato
a Londra, stesso regista
e stessa protagonista)
è un banco
di prova per Gwyneth
Paltrow, nomination
ai Golden Globes che
dopo aver partecipato
a film banali e senza
rilievo |
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affronta
un ruolo
difficile
e per
di più
in un
lavoro
complesso
e non
facile
(il
titolo
fa riferimento
alla
prova
che
in matematica
certifica
la risoluzione
di un
problema).
Non
tutti
i critici
hanno
applaudito
ma a
mio
parere
la Paltrow
se la
cava
egregiamente
(e del
resto
aveva
già
dimostrato
le sue
qualità
nel
2000
col
bellissimo
"Duets").
Un intreccio
di cannibaleschi
rapporti
familiari,
ambizioni
frustrate,
umiliazioni
e tentativi
di |
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riscatto,
genio e follia,
vecchiaia
e solitudine
costituisce
il materiale
del film,
per qualche
verso affine
a "A
Beauliful
Mind"
e a "Shine",
in un alternarsi
continuo di
realtà
sogno e ricordo.
Un dramma
psichiatrico,
un po’
thriller un
po’
melò,
sceneggiato
dallo stesso
Auburn e da
Rebecca Miller
(figlia di
Arthur Miller)
di non facile
lettura e
su un argomento
ostico (la
matematica,
tema non particolarmente
cinematografico)
che il regista
e la Paltrow
abilmente
riescono a
rendere interessante
per il grande
pubblico,
senza annoiare
e anzi coinvolgendo
lo spettatore
emozionandolo
più
di una volta.
Da ammirare
senza riserve
la protagonista,
bravissima
nell’esprimere
la tensione
interiore
e lo smarrimento
del suo personaggio.
Buona la prova
di Jack Gyllenhaal
(che quest’anno
vediamo per
la terza volta
sugli schermi)
benchè
in un ruolo
troppo perfettino
e un po‘
improbabile,
meno convincente
il grande
Anthony Hopkins
(a volte tende
a gigionare).
(di Leo
Pellegrini)
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