PRIME
 

recensione prime

 
Uma Thurman e Meryl Streep. Quando si dice che basta la parola. Per bellezza, bravura e charme valgono sempre il prezzo del biglietto. Capita spesso che di questo si approfitti. Altrimenti vengono fuori film epocali (in senso positivo e negativo). La prima, atipicamente e straordinariamente bella, spesso è musa e ispiratrice di ottimi registi. Buon ultimo Tarantino, (quasi) primo Terry Gilliam. La seconda, spesso, il film lo fa da sola. Due oscar, 13 nominations e un’incredibile interpretazione nell’epico "Angels in America" di Mike Nichols, tra le altre cose. E un ottimo fiuto per la scelta di buoni copioni, anche in un’età, portata magnificamente, in cui cominciano ad essere pochi. In questo caso le due vogliono divertirsi. Insieme, senza la paura e le invidie che spesso impediscono ad attrici europee di  
 
confrontarsi e lavorare insieme. Ne escono, da questa collaborazione come da alcune altre, opere di buona fattura, godibili e piacevoli, pur non essendo, né volendo essere, capolavori. E qui ci ritroviamo di fronte ad una moderna, newyorkese, Mrs Robinson, in cui la Streep smette la maschera della feroce e calcolatrice madre di "The Manchurian Candidate" e la Thurman, sensuale e distesa come raramente  
capita, smette spada e tutina gialla, e da Sposa, diventa una giovane divorziata. E’ infatti Rafi, produttrice fotografica, in analisi più o meno da quanto dura il suo fallimentare matrimonio. Chi l’ha in cura è Lisa Metzger, Meryl Streep, quasi una figura materna (accostamento più che casuale essendo nella realtà Uma figlia di una psichiatra). Forse troppo, visto che le due saranno artefici e vittime di un inconsapevole e non equilatero triangolo con David, Bryan Greemberg, figlio della terapeuta. Molta carne al fuoco, da qui in avanti. Deontologia professionale, complessità dei rapporti familiari, persino atavici problemi e pregiudizi di carattere religioso, ambienti sociali differenti, la differenza d’età – il nostro Romeo ha 23 anni, la nostra bionda Giulietta 37- che quando vede la donna sul gradino più alto qualche prurito e fastidio continua a darlo. Certo queste tipologie di film hanno un difetto: come di fronte ad Ann Bancroft, così di fronte a Uma Thurman, l’età è per lo più una curiosità senza importanza. Per la seconda, peraltro, che ormai recita da 20 anni, gli anni sono solo un toccasana. Detto questo l’opera ha il merito di evitare banalità e patetismi facili, con una storia non sconvolgente, ma divertente e tenera insieme. Un percorso di crescita e formazione sentimentale per entrambi i protagonisti e l’apprensiva mamma, e, in qualche modo, anche per lo spettatore più attento e sensibile. E con la guida schizofrenica del giovane Ben Younger (solo 32 anni). Se da sceneggiatore, infatti, ha una scrittura abile ed effervescente, da regista ha qualche pausa di troppo e una lentezza di fondo che rende il film abbastanza “sfasato”. Ne risente il ritmo complessivo e l’agilità del racconto. Dissociato appare l’autore anche nel confronto con il suo precedente Boiler Room, di cinque anni fa. Molto maschile l’opera prima interpretata da Ben Affleck, Giovanni Ribisi e Vin Diesel, quanto femminile quest’ultimo. Ma legati entrambi dalla sua sensibilità artistica e umana non comune, pur se ancora troppo grezza. Si rimane comunque soddisfatti, pur se non entusiasti e con il rammarico di qualche ottima occasione sprecata. Una per tutte, il finale. Ottimo, ma quasi buttato via.

(di Boris Sollazzo)

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