PAROLE D'AMORE
 

recensione parole d'amore

 
Titolo banale e fuorviante per questo interessante e non facile film tratto dal romanzo "La stagione delle api" di Goldberg Myla. Attraverso le vicende di una famiglia ebrea assistiamo a uno spaccato amaro e tagliente della società americana: delle falsità, delle violenze psicologiche che si celano sotto la maschera perbenista di una famiglia apparentemente molto unita. Quattro protagonisti, quattro solitudini che non comunicano, quattro individui alla ricerca di sé per vie diverse e non conciliabili, quattro persone che seguono percorsi disparati verso le loro personali visioni di trascendenza. Un'opera che comporta la partecipazione attiva dello spettatore, lo costringe a porsi continuamente delle domande sulla struttura familiare ma anche sull'essenza spirituale dell'essere umano e del suo rapporto con la religiosità. Due ore che impegnano  
 
l'intelligenza del pubblico forse non più abituato all'andamento lento e riflessivo che caratterizza il film. Una storia che cresce lentamente e con gradualità, che scopre le sue carte a poco a poco, suggerendo più che evidenziando, con piccoli e sottili accenni per far intuire cosa effettivamente stiamo vedendo (solo uscendo dalla sala capiamo, ad esempio, l'importanza del caleidoscopio o del perché il figlio non vuole mo-  
strare la sua ragazza ai genitori.). Una storia che tocca molteplici temi, dal rapporto genitori figli alle ambizioni non soddisfatte degli adulti, dalla disgregazione della famiglia ai sensi di colpa che proviamo nel vedere soffrire chi amiamo, dal potere del linguaggio all'impossibilità delle parole di esprimere tutto. Una storia che correva il rischio di concludersi con un finale banale che invece si rivela l'unico possibile, coerente e giustificato. Un film che invita alla discussione e che "rimane dentro". Un film che, pur possedendo suggestivi e appropriati effetti visivi, centra la sua attenzione sull'identità e la vita interiore dei personaggi, personaggi resi magistralmente da due attori, Richard Gere e Juliette Binoche, dal carisma nettamente superiore alla media e dai giovani Flora Cross e Max Minghella (due giovani finalmente scelti per il loro sapersi calare perfettamente nei rispettivi ruoli e non per l'aspetto più o meno gradevole). Nota di merito anche alla colonna sonora: finalmente si ritorna a un commento scritto appositamente per il film (sempre più spesso Hollywood sembra privilegiare la compilation di canzoni che mal si amalgamano con quanto ci viene narrato).

p.s. la cornice che fa da sfondo alla storia narrata riguarda le gare di "spelling" in uso negli Stati Uniti: gli sfidanti davanti a un microfono e sotto la luce dei riflettori, di fronte al pubblico e alle telecamere, devono fare lo spelling di una parola che un professore medio difficilmente riuscirebbe a definire. La decisione di doppiare anche questa parte del film toglie significato e drammaticità a quanto vediamo.

(di Leo Pellegrini)

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