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recensione orgoglio
e pregiudizio
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Qualche pregiudizio,
va ammesso, c’è
in chi si avvicina
a questo lungo racconto
cinematografico. Un
po’ perché
Jane Austen sul grande
schermo ha sempre
avuto qualche problema
di resa. Un po’
perché, va
confessato, l’anticonformista
scrittrice non è
poi così grande,
forse, come ci vogliono
far credere. Spesso
il sospetto che coraggio
e mestiere, nel suo
caso, superino il
talento, francamente
c’è.
Ciò non toglie
che "Orgoglio
e pregiudizio"
rimane la sua opera
più conosciuta,
(accl)amata e felice.
Con la maggior fortuna,
almeno quantitativa,
di adattamenti per
lo schermo, piccolo
o grande che sia.
Uno, persino, con
Laurence Olivier.
Senza contare tutti
coloro che ne hanno
proditoriamente saccheggiato
spirito e struttura
senza renderne conto.
La più smaccata
e sfacciata di queste
operazioni è
sicuramente la tragicomica |
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epopea
della
fastidiosa
Bridget
Jones
(soprattutto
nel
suo
secondo
fantozziano
capitolo).
Il bollywoodiano
"Matrimoni
e Pregiudizi"
ne è
stato
il capitolo
trash,
divertente
e alla
fine
discreto
per
gli
obiettivi
che
si prefiggeva.
A raccogliere
quindi
l’oneroso
testimone
è
Joe
Wright,
onesto
mestierante
della
macchina
da presa,
che
con
qualche
pausa
e passaggio
a vuoto,
porta
a casa
la vittoria,
so-
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prattutto
grazie ad
un casting
di livello
e ad una direzione
umile degli
attori stessi.
Mattatrice
è un’ottima
Keira Knightley
che, dopo
aver sognato
Beckham e
maledetto
la prima luna
per ben tre
volte, è
stata crociata
e ora femminista
ante litteram.
Sempre più
bella nel
suo essere
maschiaccio
e sbarazzina,
pur correndo
il rischio
di essere
troppo vicina,
come l’altra
giovanissima
di grande
talento Natalie
Portman, alla
promessa incompiuta
Wynona Rider,
riesce senza
strafare a
tenere in
piedi un film
non facile,
dando un’ottima
prova, innanzitutto
di mestiere,
che per impegno
e capacità
la candidatura
all’Oscar
la merita
tutta. Accanto
a lei l’unico
sottotono,
ma neanche
troppo, è
Darcy, ovvero
un Matthew
MacFayden
discreto,
impacciato
e supponente,
che intelligentemente
si fa buona
spalla della
protagonista.
Gustose e
magistrali
le prove collaterali
delle vecchie
volpi Judi
Dench, la
terribile
Lady Catherine
De Bourg,
e Donald Sutherland,
che ridà
nuova dignità
alla sofferente
parte del
padre dell’enfant
terrible Lizzie.
Da segnalare,
tra le piccole
donne- sorelle
in cerca di
marito della
Knightley,
mancando loro
di alcun diritto
all’eredità
paterna, la
dolcissima,
per bellezza
e capacità
recitativa,
Rosamund Pike.
Brava quanto
insopportabile
Brenda Blethyn,
madre ossessiva
e ossessionata
dal matrimonio
delle sue
figlie. Pazienza,
quindi, se
le differenze
di classe
e il ritratto
sociale risultano
spesso superficiali
e didascalici,
siamo pur
sempre davanti
a una fiaba
che ci racconta
l’amore
che sogniamo,
contrastato
e invincibile.
Quanto basta
per sorridere,
divertiti
e inteneriti.
Come fa spesso
Lizzie- Keira,
in quel caso
irresistibile.
Andatelo a
vedere, se
il cervello
è stanco
e il cuore
malinconico.
(di Boris
Sollazzo)
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