NIENTE DA NASCONDERE
 

recensione niente da nascondere

 
Che Micheal Haneke non fosse uno da prendere troppo alla leggera ce n’eravamo già accorti. Con “Niente da nascondere”, meritata palma d’oro come miglior regia all’ultimo festival di Cannes, ribadisce il concetto. I titoli di testa e la prima sequenza già bastano a gettare la platea nello scompiglio: la ripresa fissa di un elegante palazzo parigino. Quanto dura? Mezzo minuto, un minuto, due minuti? E mentre ci si comincia a porre questo genere di domande, nello stesso tempo si comincia a far caso a qualsiasi impercettibile movimento che avviene sullo schermo, nella speranza che qualcosa accada: una macchina che arriva, una che passa, un signore che entra in casa. Per un istante la mente corre a quei primi spettatori che ebbero il privilegio di vedere “Empire” di Warhol, i quali si trovarono di fronte l'immagine  
 
di un grattacielo ignari che non sarebbe cambiata per le successive 8 ore. Non è questo il caso perché qui l’immagine iniziale presto cambia, anche se rimane la medesima difficoltà di esprimere un giudizio, soprattutto nei riguardi di un film che non sembra volersi candidare per essere giudicato o apprezzato esteticamente, che non cerca la partecipazione del pubblico, la sua approvazione, che non gli interessa d'instau-  
rare un rapporto di empatia con esso. Del resto basti pensare a “Funny game” (che ancora non ho capito se è un film bellissimo o bruttissimo) o a “La pianista”. Freddo e cerebrale Michael Haneke non è qui per fornire facili, né difficili, risposte. Le sue sono strade dissestate, piene di buche in cui sta allo spettatore decidere se coprirle o meno, o quantomeno provarci. Egli sembra giocare, qui come altrove, a scardinare le normali consuetudini del racconto per cui ad un’ azione ci si attende una reazione e ad un causa corrisponde sempre un effetto. Qui invece ogni aspettativa viene costantemente disattesa, interrotta e delusa proprio sul più bello, proprio quando già si pregustava l’evento risolutore, anche solo un minimo accenno a cui aggrappare un’ipotesi. Provocatorio come d’abitudine, con stile quasi documentaristico, senza nessun artificio extradiegetico a sottolineare climax narrativi ma in cui la violenza esplode fulminea con la forza dell’evidenza (si veda solo la scena dell’uccisione del gallo, potente e agghiacciante come nessun horror saprebbe essere), Haneke parte col confezionare quello che sembra un thriller psicologico a tutti gli effetti (che ricorda il “Lost Highway” di Lynch) per poi cambiare bruscamente direzione in vista del traguardo: chi fa recapitare a casa della bella coppia di intellettuali parigini VHS con riprese della propria abitazione? Chi li spia? Perché? A che scopo? Domande legittime che si pone anche il protagonista della vicenda (Daniel Auteil, maiuscolo come al solito) il quale, mentre comincia la sua personale indagine alla ricerca della verità, comincia anche ad avere i sogni infestati da sensi di colpa, incubi, fantasmi del passato mai sepolti. Non sta probabilmente nella rimozione di freudiana memoria la soluzione dell’enigma (anche se sospettiamo che c’entri!). Forse nei complessi di un adolescente trascurato, forse nel figlio di un padre sconfitto e umiliato, forse in una dimensione metafisica dove non conta tanto il cosa ma il come. Potrebbe suonare come un nonsense surrealista ma non lo è: Haneke non ci prende in giro ed è proprio per questo che quando il film finisce la delusione è grande ma un attimo dopo il cervello comincia a girare e i nodi seppur lentamente cominciano a venire al pettine. Chissà, forse nell’ultima scena sta la chiave di tutto. O forse non significa assolutamente niente. A voi la palla.

(di Mirko Nottoli)

- Scrivi la tua recensione!
 
 
  Scheda Recensione Locandina  
 

Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2005. Tutti i diritti sono riservati.