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recensione napoleon
dynamite
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Sbarca in Italia il
nerd dell’ultimo
millennio dopo aver
raccolto notevole
successo di pubblico
negli Usa assicurando
al protagonista John
Heder un futuro d’attore
(ben sei pellicole
in uscita negli States)
e al regista e alla
moglie co-sceneggiatrice,
i danari per la produzione
di “Nacho Libre”
con Jack Black. Pagato
pegno ai titoli di
testa – divertenti,
originali e fantasiosi
– rimaniamo
nel pantano del racconto
adolescenziale dello
sfigato che si muove
inadatto nel mondo
ma questa volta senza
l’ansia di piacere
a tutti i costi. Il
protagonista vive
col fratello disoccupato
che chatta a spron
battuto, ha una nonna
arzilla che corre
in motocicletta sulle
dune e uno zio fulminato
da un passato mai
accaduto che trasuda
rimpianto a ogni guizzo
di muscolo e che crede
alla macchina del
tempo (faccenda che
in "Donnie Darko" |
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aveva
tutto
un altro
fascino).
Il ragazzo
dinoccolato,
capello
rosso
arruffato,
espressione
perennemente
lisergica
imperversa
nel
mondo
fisico
col
suo
pervicace
e fantasioso
corrispettivo
interiore.
Disegna
strani
incroci
di animali,
gioca
da solo
a pallacorda,
ricerca
una
ragazza
da portare
al ballo
della
scuola
e fa
amicizia
con
Pedro,
altro
latore
di solitudine.
Napoleon
lo aiuta
nelle
presidenziali
scolastiche
contro
la |
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cheerleader
popolare per
definizione,
organizzandogli
con solerzia
la campagna
elettorale
e decretandone
il trionfo
con un assolo
danzato (musicano
gli Jamiroquai).
Il nerd occhialuto
le busca ma
le dà
anche e la
sua folle
inerzia muta
ricorda la
questione
del “cosa
ci sia di
bello nell’essere
adolescenti”.
Forse la poesia
della cognizione
del dolore
e dell’esistenza?
Non è
questo il
caso. Ritratto
superficiale
che abbozza
una serie
di personaggi
di puro stampo
andersoniano
(Il Wes dei
Tenenbaum
ma soprattutto
di Rushmore)
al quale la
pellicola
è debitrice
in tutto:
atmosfere,
dettagli,
gag e persino
lo stesso
inutile, noioso
egocentrismo.
(di Daniela
Losini)
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