MELISSA P.
 

recensione melissa p.

 
Francesca Neri alla produzione, ricalcando le orme dei suoi esordi ne "Le età di Lulù". La giovanissima e sensualmente imperfetta Maria Valverde come disinibita Melissa. Ragazzi di contorno come gli acclamatissimi Primo Reggiani e, il sempre bravo, Elio Germano. Persino un cameo di Claudio Santamaria. Un regista coraggioso, anticonformista e talentuoso, spesso anche troppo, come Luca Guadagnino. Gli ingredienti per un film di successo e di un certo interesse c’erano tutti. Ora, francamente, l’interesse non c’è. Il successo, vedremo. Due motivi principali: "Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire", il diario bestseller di Melissa P., appunto, era un pessimo punto di partenza, il cui valore artistico era assolutamente opinabile; l’ottica che il regista adotta, infine, e rivendica, è quella tutta al femminile. Bella idea in un  
 
cinema maschilista come il nostro. Se non fosse che diventa stereotipata e, più che altro, femminista. Cliché quasi cattolici nella madre liberatrice e autoredentrice, la figlia che attraversa il deserto dell’aridità dei sentimenti, fino al sacrificio quasi volontario, la nonna perfetta nei suoi difetti, e la rinascita finale attraverso l’acqua, liquido amniotico, sempre, ovviamente materno e femminino. Tutto troppo  
marcato per non risultare stucchevole. Si vede molto la mano della produzione dietro certe scelte, meno quella di Guadagnino nella storia – più nella sensibilità della regia e della fotografia-. Barbara Alberti, tra le sceneggiatrici, furiosa perché qualcuno ha osato definire il film “paraculetto” (diamine lo è), non va oltre la dinamica della favola vagamente moralista e solo apparentemente trasgressiva. Come il libro, anche il film ricorda la posta del cuore di Natalia Aspesi. Finto, a tratti pastello, freddo perché eccessivo. E, va detto, neanche l’adolescente più eccitabile, un novello Onan il barbaro, troverebbe molto di che divertirsi. Le scene erotiche sono poche e scarsamente esaltanti. Inoltre, quel poco di trasgressione è annegato in un' ottica tanto dolorosa e repressiva del sesso da renderli un premio davvero inadeguato. Produzione, regista e sceneggiatori, insomma, sembrano aver sbagliato target. Se si voleva una pellicola autoriale, retrospettiva si è fallito. Se si voleva raccontare Cappuccetto Rosso in salsa erotica, pure. Non ci credevamo già noi alle favole, figuriamoci i ragazzi di oggi. Un solo appello: Save Guadagnino. Il probabile fallimento (ma le vie delle sale sono infinite e mi auguro per lui di sbagliarmi) potrebbe condannarlo ad un ingiusto esilio. Ci tengo quindi a sottolineare che Luca ha sicuramente girato un’opera cinematografica migliore di quella letteraria. Ahimè, però, ci voleva pochissimo.

(di Boris Sollazzo )

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