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Abel Ferrara è
stato definito "regista
maledetto". Si
pensi al perverso
e delirante "New
Rose Hotel" del
1998, all'angoscioso
e delirante "The
Addiction" del
'94, allo scomposto
e onirico "Blackout"
del '97, al visionario
ed eccessivo "Il
tenente francese"
del '92, a quella
tragedia morale che
fu "Fratelli"
del '96. E l'elenco
potrebbe continuare.
Il regista americano
affronta questa volta
il tema della fede
e la novità
è che non si
limita ad accompagnarci,
come suo solito, in
un percorso all'inferno
ma ne prevede anche
il ritorno, la redenzione.
Imbastisce così
una storia ("un
viaggio nell'abisso
dell'anima umana"
ha dichiarato in una
intervista) che contiene
in sé più
di un racconto: la
figura di Maria Maddalena
vista in modo non
tradizionale, la crisi
religiosa di una attrice,
il mondo del cinema
e della te- |
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levisione,
i problemi
familiari
di un
giornalista.
Racconti
che
non
si amalgamano
tra
loro
e ognuno
sembra
procedere
per
proprio
conto.
Il film,
girato
e coprodotto
in Italia,
è
stimolante
e intrigante
nella
prima
mezz'ora
quando
l'attenzione
è
rivolta
alla
Maddalena
e alla
crisi
dell'attrice
ma poi
l'interesse
del
regista
si sposta
ed abbiamo
il ritratto
(visto
infinite
volte
nei
film
americani)
dell'uomo
tutto
dedito
al lavoro
che
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trascura
la moglie
salvo poi
ravvedersi
alla fine:
il tema perdizione-redenzione,
il rapporto
senso di colpa
e senso del
peccato appaiono
così
retorici e
piuttosto
banali, come
retorico e
banale è
il messaggio
che probabilmente
il film intende
dare (per
capire Gesù
non servono
tanti discorsi,
conta la nostra
capacità
di cogliere
l'essenza
del messaggio
evangelico
per scoprire
Dio dentro
di sé,
in tutta semplicità).
Una trama
a più
facce dove
si perde continuamente
il filo logico
dei fatti,
inframezzata
da dibattiti
veri, con
veri studiosi
(da Amos Luzzatto
a Jean-Yves
Leloup, da
Ivan Nicoletto
a Elaine Pagels)
che analizzano
commentano
illustrano
l'insegnamento
cristiano.
Lo spettatore
non può
non rimanere
perplesso
di fronte
ad un'opera
che all'inizio
sembra voler
privilegiare
una storia
per poi accantonarla
e quasi dimenticarla,
sostituendola
con un'altra
meno coinvolgente
e originale
(un critico
ha detto giustamente
che "Abel
Ferrara si
perde... nel
seguire le
pene del giornalista
adultero e
peccatore").
Si esce dalla
sala interdetti
e chiedendosi
che cosa il
regista abbia
voluto dire
con quest'opera
che tecnicamente
risulta perfetta
ma che come
contenuto
appare confusa
e non lineare.
Bravi tutti
gli attori:
da sottolineare
che Juliette
Binoche è
messa purtroppo
quasi subito
da parte e
che Forest
Whitaker ha
l'occasione
finalmente
di mostrare
il suo enorme
talento.
(di Leo
Pellegrini
)
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