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recensione mai
più come
prima
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Un'ennesima occasione
sprecata da parte
del cinema italiano.
Lo spunto è
buono: fare un ritratto
della gioventù
e di come questa si
trasformi dal periodo
della pura spensieratezza
al periodo della maturità.
Spunto guastato da
una sceneggiatura
banale e retorica
quanto mai e da una
regia prettamente
televisiva, piatta
e senza fantasia.
Nella nostra cinematografia
siamo alle solite,
i film sono opera
di "geni"
isolati e isolazionisti,
non di una equipe
di professionisti:
chi elabora una storia
ne fa anche la sceneggiatura
e autodirige il suo
progetto (qui Giacomo
Campiotti ha anche
una quarta carica,
è il produttore).
Nella prima parte
abbiamo uno sconfortante
affresco dell'Italia,
con una famiglia disastrata,
dove i genitori non
capiscono nulla e
si rivelano spiazzati
e inadeguati, e una
gioventù spaesata
e dedita solo ed esclusivamente
al "caz-
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zeggio".
Nasce
subito
il problema
di capire
se il
regista
intenda
operare
una
analisi
critica
o si
compiaccia
di quanto
descrive:
gli
spettatori
ridono
più
di una
volta
(vengono
in mente
tanti
film
di Alberto
Sordi
che
avrebbero
dovuto
ridicolizzare
i difetti
degli
Italiani
ma in
effetti
ottenevano
lo scopo
contrario
di renderli
simpatici
ed accattivanti).
Nella
seconda
parte
del
film
(la
gita
in montagna)
vi è
l'esperienza
di |
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qualcosa
di tragico
che apre nei
ragazzi una
visione completamente
nuova: dovremmo
pertanto assistere
al mutamento
dei protagonisti,
al loro trasformarsi
in esseri
responsabili
e consapevoli
di come la
vita vada
affrontata
(scoprono
la morte proprio
nell'età
in cui ci
si sente onnipotenti
e si pensa
di avere davanti
solo il futuro
senza limiti).
E qui c'è
il problema
che la situazione
presentata
è talmente
improbabile
e inverosimile
che il tutto
sa di falso
e di pistolotto
"edificante
e buonista"
elargito alle
nuove generazioni.
Comportamento
immotivato
dei vari personaggi,
dialoghi che
definire banali
è poco,
autocritica
dei genitori
(tutti visti
come più
immaturi dei
figli e assolutamente
non in grado
di assolvere
la loro funzione)
presentata
in modo talmente
affrettato
e superficiale
da rasentare
il farsesco,
appelli a
Nostro Signore
che farebbero
arrossire
anche i "papa
boys"
tanto sono
ridicoli.
Si passa poi
alla terza
parte, dove
assistiamo
a una carrellata
sui ragazzi
ormai trasformati,
nell'espressione
nell'abbigliamento
nel comportamento
nelle decisioni.
Ed è
la parte migliore
del film che
qui dovrebbe
finire. Un
finale amaro
ma che darebbe
un senso a
tutta l'opera.
E invece il
film continua
un'altra mezz'ora
perfettamente
inutile che
vede l'amicizia
rinascere
e trionfare
su tutto:
tipico happy
end da commedia
americana
che toglie
qualsiasi
significato
a tutto il
lavoro.
Tecnicamente
non appare
felice la
scelta di
girare in
"maniera
sporca"
con la cinepresa
16 mm a mano.
Il sistema
certamente
dà
al regista
una liberà
differente
e la possibilità
di seguire
meglio i ragazzi
mettendosi
a loro disposizione
per ogni cambiamento:
visivamente
però
lo spettatore
è penalizzato
e gli è
difficile
godere i panorami
stupendi che
gli vengono
mostrati.
Per quanto
riguarda gli
interpreti,
è perfetto
il gruppo
degli adulti
(anche se
lo spazio
concesso loro
è minimo),
tutti attori
provenienti
dal mondo
del teatro.
I giovani
sono per lo
più
quasi alle
prime armi
e se la cavano
(più
con le espressioni,
meno con le
parole): senza
infamia e
senza lode.
(di Leo
Pellegrini)
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