LORD OF WAR
 

recensione lord of war

 
Uno dei peggiori film (??) visti negli ultimi anni: giudizio drastico e immediato alla fine della proiezione. Un argomento importantissimo (il traffico delle armi) attuale come non mai, e foriero di sciagure senza fine in tutto il mondo, andava trattato col massimo impegno e con la coraggiosa volontà di denunciare il ricco Occidente che vi specula e vi guadagna sopra. Abbiamo invece la rappresentazione di uno "sciacallo" che racconta le sue imprese e di come da povero immigrato diviene supermilionario, approfittando dello sfacelo dell'ex Unione Sovietica (dove "tutti" sono in vendita) e delle continue crisi in Africa (dove "tutti" sono assetati di sangue). Una rappresentazione molto simile a un'inchiesta televisiva, interessante all'inizio (visto l'argomento), ma poi noiosa e ripetitiva. Ma è un'inchiesta, un documentario a  
 
cui occorre dare la parvenza di film: ed ecco quindi l'inserimento di vicende amorose e familiari del protagonista, vicende che mal si conciliano col resto e che in gran parte sono completamente superflue. L'onnipresente voce fuori campo racconta tutto, spiega tutto (anche le cose più banali) finendo con l'irritare e infastidire, senza mai che si comprenda la motivazione di "tanto parlare". La sceneggiatura  
presenta personaggi stereotipati, dialoghi piatti e a volte risibili, situazioni altamente improbabili e con l'unico evidente scopo di utilizzare qualche bell'effetto speciale. Il "pistolotto antiamericano" che appare alla fine (messovi per accontentare i no global? i pacifisti? i movimenti più democratici...?) non ha alcun legame con quanto fino allora visto e appare come la conclusione di un'altra opera. Dispiace sapere che l'intera operazione ha l'avvallo di associazione benemerite come "Control Arms" e "Amnesty International" e che questo è il primo film che si sia fatto su un tema tanto tragico. E stupisce che a realizzare il tutto sia un personaggio come Andrew Niccol che nel suo curriculum ha la sceneggiatura di quel capolavoro che fu "The Truman Show". Un lavoro (il rifiutarsi di definirlo "film" è d'obbligo) che nelle intenzioni doveva costituire "una critica sociale radicale", una "riflessione politica" su "cose che nessuno ha mai visto finora", una denuncia del "ruolo degli Stati Uniti nella fornitura di armi" (tutte dichiarazioni del regista e della produzione) ma che rimangono sulla carta e che lo schermo non mostra. Lo spettatore assiste semplicemente ai mille modi che i trafficanti utilizzano per sfuggire ai vari controlli, il che, ripeto, è interessante in una inchiesta (se ben condotta, e qui non è neanche il caso) ma che di per sé non basta per farne un prodotto cinematografico. Non aiuta l'operazione la performance degli attori. Nicolas Cage è monocorde al massimo e sembra offrire una prestazione d'ufficio. Ethan Hawke interpreta un inconsistente ruolo senza personalità e ne sembra consapevole. Bridget Moynahan (la moglie) ha un fisico alla moda e porta bene i vestiti (e il nudo) ma è totalmente inespressiva. Il sempre eccezionale Iam Holm è sprecato. Jared Leto (lo avevamo visto nella passata stagione fare l'amante del protagonista nell' "Alexander" di Oliver Stone e qui ricopre la parte del fratello) è l'unico ad avere sfaccettature, anche perché in una scena è ubriaco e in un'altra è drogato, ma il suo ruolo è completamente ininfluente e non se ne capisce assolutamente la presenza (forse perché è un divo emergente?). Il migliore in campo è sicuramente Sammi Rotibi, autentico e carismatico, lodevolmente impegnato nel ritratto del dittatore africano. Un'ultima notazione sulla colonna sonora, retorica e banale come raramente capita, con le sue canzoni scelte senza fantasia e originalità (scena d'amore? sentiamo "La vie en rose"; scene in Ucraina? sentiamo "Volga's boatment's song"; scene in Liberia? sentiamo "Mama Africa"; rendimento dei conti? sentiamo "Hallelujah". Avremmo sentito "O sole mio" se qualche sequenza ci avesse mostrato l'Italia?).

(di Leo Pellegrini)

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