THE LEGEND OF ZORRO
 

recensione the legend of zorro

 
David Letterman, intervistando un’esplosiva, in tutti i sensi, Catherine Zeta-Jones, si è detto felice di vedere in sala un film come "The legend of Zorro". “Si sentiva il bisogno- ha sferzato- di un film che ci raccontasse lo Zorro privato, quello che c’è dietro la maschera. Come abbiamo potuto vivere senza?”. Il geniale entertainer ha ragione: ironizzare sulla sostanziale inutilità di un sequel come questo è sacrosanto. Ma, lo sappiamo bene, pochi sono i film davvero necessari. L’opera di Martin Campbell, regista del primo episodio e maestro garbato e divertente dell’intrattenimento puro, avvince e alla fine convince. Ricordate i supereroi con superproblemi? Bene, dimenticateli. Qui non abbiamo superpoteri, quindi abbiamo solo piccoli grandi problemi. Già, perché la trovata divertente di questo secondo film è  
 
l’eroe in difficoltà tra le mura domestiche. Come accade a molti di noi, innamorato e schiavo del proprio lavoro, trascura la compagna. E anche un marmocchio di dieci anni, Joaquin, all’oscuro della sua doppia identità (il piccolo Adrian Alonso, esilarante e capace), per questo frustrato. Espediente narrativo comune, ma efficace. Il buon Banderas, un po’ imbolsito ma fresco della sua stella sulla Walk of Fame - si sa,  
ormai non si negano a nessuno – interpreta il ruolo con ironia e misura, la Zeta-Jones è una spalla brillante, insieme sanno essere sensuali e producono un’elettricità niente male. Sono sicuramente meno efficaci ed esplosivi rispetto a "La maschera di Zorro". Più vecchi e appagati, non riescono a creare la grande tensione precedente. Per questo aumentano i combattimenti, nel numero e nella complessità, supportati da ottime coreografie e una discreta fotografia. La storia vede il nostro eroe alle soglie di una pensione forzata, per amore. La California sta diventando il 31° stato dell’Unione e, erroneamente, sembra non ci sarà più bisogno di lui. Questo provocherà un divorzio e molti problemi, suscitati da una vecchia fiamma transalpina (Rufus Sewell) della bella gallese. Il sempre più piacione Banderas si troverà ad affrontare addirittura la temibile massoneria europea, armata di mortifere… saponette! Come unici alleati un prete e lo straordinario cavallo Tornado, autentico mattatore e protagonista di scene davvero gustose. Gli basteranno, nonostante il cuore spezzato dalla sua amatissima Elena che “vive nel peccato con un conte mascalzone”. Tutto sarà spiegato ed un virile Zorro si staglierà nel tramonto insieme al colossale purosangue al suo servizio. L’eroe contadino, l’umanissimo Alejandro De La Vega, di volta in volta presentato come bonaccione, dongiovanni, aristocratico, in alcuni casi persino contemporaneamente, ha dato vita a una lunga serie di film. Seri, semiseri e di serie B. Sempre hanno catturato lo spettatore, per il fascino imperituro del personaggio di nero vestito ideato da Johnston McCully, persino quando anacronisticamente e grottescamente affrontava avversari improbabili. Campbell si conferma padrone dei mezzi dell’intrattenimento mainstream, come già aveva dimostrato in Goldeneye, ad esempio. Ne esce un prodotto godibilissimo, 130 minuti che scorrono con facilità. Certo, non è un capolavoro. Ha le sue ingenuità e le sue svolte narrative scontate. Le caratterizzazioni, in certi casi, appaiono eccessive. Ma si ride, ci si diverte e non ci sono fastidiose sbavature e incongruenze. Elenchiamo i difetti solo perché convinti della pericolosità dell’ipotesi di un terzo episodio. Anche se qualcosa ci dice che presto vedremo il figlio di Zorro…

(di Boris Sollazzo)

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