LE CRONACHE DI NARNIA
 

recensione le cronache di narnia

 
Non si può non ritornare bambini, neanche opponendo una titanica resistenza, vedendo “Narnia”, il film tratto da uno dei romanzi fantasy del grande autore C. S. Lewis. Fin dalle prime scene lo spettatore è fagocitato in una Fiaba con la effe maiuscola, come se si precipitasse in un meraviglioso libro illustrato... è l’effetto già suscitato in parte dal film “I Fratelli Grimm”, ma qui portato all’ennesima potenza. Durante la seconda guerra mondiale, negli anni dei bombardamenti aerei sulla Gran Bretagna, i quattro fratelli Pevensie, Peter, Susa, Edmund e Lucy, sono mandati al sicuro in campagna dalla madre, che resta in città. Arrivati nella residenza del Professor Kirke, antica, immensa casa deliziosamente e cupamente vittoriana, tutta porte e corridoi e tendaggi pesanti, i ragazzini si troveranno catapultati dentro il regno  
 
fatato di Narnia. E’ la più piccola dei quattro, Lucy, a infilarsi nell’armadio-guardaroba e a trovarvi una porta d’accesso nel meraviglioso mondo innevato in cui la malvagia Strega Bianca ha instaurato il suo potere. Ma una profezia di cui i quattro sono inconsapevoli protagonisti, li renderà gli eroici fautori della salvezza del regno, con l’aiuto di Aslan, legittimo sovrano... Tante sono le reminiscenze che vengono alla mente: il  
modo in cui i bambini scoprono Narnia ricordano le avventure della "Alice" di Lewis Carroll, sia quando la ragazzina segue il bianconiglio e precipita dentro il tronco d’albero, sia quando attraversa lo specchio ed entra in un’altra dimensione vicina e remota allo stesso tempo e La Strega Bianca è un’eco più moderna della spietata Regina delle nevi di Andersen. E tutte le favole, tutte le leggende si mescolano tra loro e animano la stupefacente pellicola diretta da Andrew Adamson. Il regista dà vita a un caleidoscopio di colori e movimento in cui la poesia della fiaba, la scorrevolezza e il senso di antico e di familiare del racconto, non sono sacrificati nel nome di una tecnologia troppo attenta a virtuosismo e al sorprendente, sfociando in fredda ripetitività; ma anzi grazie a effetti speciali miracolosi e a una splendida fotografia, il piacere della narrazione, il brivido della peripezia sono affinati, esaltati, espressi in una serie infinita di visioni fulgide e sognanti... ogni angolo del reame di Narnia, dal castello di ghiaccio alla tana dei castori, fa desiderare di bucare lo schermo per toccare con mano le creazioni del cast tecnico del film, in primis la stupefacente scena del disgelo, in cui un albero di pesco ricoperto di boccioli rosa e di ghiaccio si staglia scintillante in un deserto dal bianco splendore. Il film di Adamson conserva tutto il gusto della favola raccontata davanti al fuoco, con tutti i suoi meccanismi e suoi topoi: Lucy, la bambina più piccola, che in quanto tale è l’anima innocente e la prima a scoprire il segreto dell’armadio (gli altri, più adulti, inizialmente non vorranno /potranno vedere); Edmund, il traditore che trova il riscatto, dopo esser stato inizialmente la preda non del tutto innocente dell’antagonista malvagia; le numerose creature della foresta, che fanno da guida attraverso le avventure e le difficoltà... E’ difficile trasporre in un film la visione complessa dei romanzi di Lewis, che vi innesta una teologia per bambini ricchissima di simboli e allegorie, e il cui genio fervido (il dettaglio da non trascurare è l’amicizia con Tolkien... l’autore della pietra miliare di tutti i fantasy) sembra sfuggire a qualsiasi riproduzione che abbandoni la parola scritta. Ma è certo che nel film traspare tutta la magia, l’incanto, il senso del fatato che un bambino (e un adulto) potrebbe desiderare, grazie anche ai personaggi indimenticabili della Strega Bianca (una magnifica Tilda Swinton, algida e inquietante quintessenza della perfidia stregonesca) e di Aslan, splendido felino creato al computer e dotato dello sguardo più disarmante che si possa immaginare.

(di Margherita Sanjust di Teulada)

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