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LA
VITA SEGRETA DELLE PAROLE |
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Può nascere
un fiore dall’asfalto
e dal cemento? Lorenzo
Cherubini in una serenata
rap sosteneva di sì.
Isabelle Coixet, ne
"La vita segreta
delle parole",
sostiene che persino
dal petrolio, dalla
guerra (qui, per una
volta, separati…
ma forse neanche troppo)
può spuntare
e crescere. Non un
fiore, ma un amore
tenero e imperfetto,
da fiaba in cui la
strega perde solo
alla fine, e solo
dopo aver lasciato
cicatrici profonde,
fuori e dentro al
corpo. Struggente
e delicato, un film
d’amore atipico
pieno di silenzi e
di humor per sottrazione,
con l’eterea
Sarah Polley e un
Tim Robbins mai così
bello e sempre bravo.
Sarah è Hanna,
a cui la vita, la
sordità, la
solitudine impongono
un silenzio assordante
che lei cerca di combattere
cullandocisi, spegnendo
il suo apparecchio
acustico. Non sappiamo
come, perché,
quando la bella e
giovane Sarah ha perso
il sorriso, |
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la
parola,
la voglia
di vivere.
Non
lo sa
neanche
Josef,
un Tim
Robbins
quasi
sempre
immobile
e straordinariamente
espressivo,
operaio
di una
piattaforma
petrolifera
vittima
di gravi
ustioni,
fratture
e una
cecità
temporanea
per
aver
cercato
di salvare
un amico
e collega.
Si incontrano
su quest’isola
artificiale,
dove
la bionda
Sarah
si reca
per
fuggire
dall’incubo
di una
vacanza
forzata
e assistere,
casualmente,
lo |
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sfortunato
Josef in qualità
di infermiera.
Una Biancaneve
sofferente,
a cui il mondo
ha tolto tutto
e che ha mangiato
la sua mela
avvelenata
durante la
guerra dei
Balcani e
che non ha
mai smesso
di masticarla,
probabilmente,
visto che
anche i suoi
colleghi la
puniscono
per un presunto
eccesso di
zelo. Vittima
innocente
-ma ne esistono
di colpevoli?
Spesso vorrebbero
farcelo credere…-
dell’ingiustizia
più
grande, una
guerra, per
di più
dimenticata,
trova un’insperata
felicità
in un principe
azzurro sui
generis grazie
anche all’aiuto
dei suoi particolarissimi
sette nani.
Due padri
(e show-man)
che vivono
un’appena
accennata
storia omosessuale,
un capitano
segnato dagli
anni e dalla
vita, un oceanografo
disarmante
e idealista,
un’oca
di nome Lisa,
un operaio
nero e un
cuoco adorabile
interpretato
dal bravissimo
Javier Camara.
Apprezzato
già
negli almodovoriani
"Parla
con me"
e "La
mala educacion",
ma anche come
protagonista
nell’appena
uscito "Torremolinos
73",
esilarante
racconto di
un regista
per caso,
ossessionato
da Bergman
ma arrivato
al successo
grazie al
porno domestico.
Grandissima,
nella sua
breve partecipazione,
anche Julie
Christie nella
parte del
personaggio
reale Inge
Genefke (cognome
citato in
maniera bizzarra
durante la
pellicola,
a chi legge
la sfida di
individuarlo),
depositaria
materiale
e morale dei
ricordi dei
superstiti
della tragedia
dei Balcani.
Perché,
come dice
proprio a
Tim Robbins,
“Hitler,
per convincere
i suoi generali
della sicura
riuscita dell’Olocausto,
disse loro:
dopo 30 anni
qualcuno forse
ricorda l’eccidio
degli armeni?
1.000.000
di persone
morte tra
le più
grandi atrocità.
E, oltre alle
vittime, dopo
10 anni qualcuno
si ricorda
della guerra
in Jugoslavia?”.
Insomma Isabelle
Coixet regala
un piccolo
capolavoro:
per senso
civico, per
il pudore
e la dolcezza
con cui tratta
i sentimenti,
per la scrittura
mai ridondante
e retorica.
E per due
scene che
segnano: la
confessione
di Sarah di
fronte a un
Robbins disperato,
che immobile
fa sentire
e capire tutto
il dolore
del mondo.
E anche qualcosa
in più.
E una scena
d’amore
tra lo stesso
Robbins e
una Polley
impaurita
che rifiuta
il suo amore.
Teme, infatti,
che un giorno
il buio che
ha dentro
possa esplodere
e costringerla
ad un pianto
ininterrotto
che li annegherà
entrambi.
A questo lui
risponde,
così
grande, grosso,
quasi goffo,
uno struggente
“Imparerò
a nuotare”,
tra le più
atipiche e
irresistibili
dichiarazioni
d’amore
mai viste
su grande
schermo. Isabelle
Coixet i quattro
Goya che ha
vinto (premio
da sempre
ostico causa
antipatie
reciproche
per il suo
produttore
Pedro Almodovar)
dimostra di
meritarseli
tutti, maturata
da "La
mia vita senza
me",
troppo eccentrico
nel suo cercare,
anche lì,
una speranza
in un amore
difficile,
per ambientazione,
vissuto, drammi
personali
e universali.
In quel film,
guarda un
po’,
le imperfezioni
furono coperte
da una straordinaria
interpretazione
di Sarah Polley.
Un grande
sodalizio
questo, tutto
al femminile,
che promette
bene. Anzi
benissimo.
(di Boris
Sollazzo)
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