LA CONTESSA BIANCA
 

recensione la contessa bianca

 
Ancora una volta Ivory si affida al talento di Kazuo Ishiguro, già autore del romanzo“Quel che resta del giorno”, da cui era stato tratto l’omonimo film. Lo scrittore scrive la sceneggiatura di “The White Countess”, ispirata al romanzo di un altro scrittore giapponese, Junichiro Tachinazi. Tuttavia, in questo caso, il sodalizio tra il grande regista e Ishiguo non raggiunge il livello altissimo della pellicola precedente. Siamo a Shangaj, nel 1936, città dai mille volti, crogiuolo di razze, di condizioni sociali, di civiltà opposte. Ci sono militari, avventurieri, uomini d’affari dagli intenti più o meno loschi, sognatori. In questo universo sfaccettato e multicolore si incrociano le strade dei due protagonisti: Jackson e la contessa Belinsky, interpretati dai bravi Ralph Fiennes e Natasha Richardson. Jackson, tormentato e infelice, si divide tra una grigia vita diurna in cui ricopre  
 
la carica di consigliere amministrativo e le scorribande notturne sempre, foriere di emozioni. Il suo sogno è quello di aprire il locale notturno perfetto, dove il divertimento e la raffinatezza siano indissolubilmente legati, dove le donne che cantano e ballano siano le più affascinanti, la musica sia divina e dove gli avventori possano dimenticare la loro vita meschina e difficile e partecipare di un paradiso  
artificiale, almeno per poche ore. C’è un uomo, personaggio elegante e magnetico, con cui condivide le proprie aspirazioni e il desiderio di un eden notturno in cui evadere: Matsuda, uomo di potere ambiguo, che cela ben altri disegni. Quando Jackson incontra la bella vedova Sofia, nobile russa decaduta, se ne invaghisce e comprende che dovrà essere lei l’anima del futuro locale, “The White Countess”. Jackson è cieco in seguito a un incidente terribile ed è lacerato da ricordi e sensi di colpa che emergono da un passato misterioso, ma riesce a percepire il fascino e la dolcezza della donna, confidandosi con lei. Sofia fa la ballerina e si prostituisce in locali sordidi per mantenere la propria famiglia, soprattutto l’amatissima figlia Katya. Maltrattata e umiliata dalla suocera e dalla cognata, trova in Jackson un amico in grado di aiutarla e di allontanarla dalla miseria e dall’abiezione. Ma le loro esistenze saranno travolte dalla guerra cino-giapponese, ormai alle porte. Nonostante la trama intrigante e un cast di attori eccezionale, che vanta anche la famiglia Redgrave quasi al completo, il film non convince. La mano elegante e raffinatissima di Ivory affiora in alcuni punti, ma il suo stile inconfondibile, in cui il racconto si fa distaccato e rarefatto, per poi aprirsi in improvvisi squarci di emozione, in cui l’animo viene messo a nudo per un istante di indimenticabile inaspettata intensità, qui è presente ma sotto tono, soffocato dalla lentezza eccessiva della narrazione, senza riuscire a coinvolgere in minima parte lo spettatore. Il risultato finale è un prodotto dignitoso ma monotono e freddo, in cui anche l’affresco storico sembra riuscito a metà.


(di Margherita Sanjust di Teulada)

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