KONTROLL
 

recensione kontroll

 
Strano miscuglio di comicità genuina, odorante binari narrativi abbandonati da tempo e condito in onirica salsa noir. Dopo due anni di muffa nelle stive della casa di distribuzione, premiato in svariati festival compresa l’edizione del Prix de Jeunesse Cannes 2004, approda sugli schermi l’opera prima di Nimrod Antal, regista ungherese che dimostra di aver padronanza e ingegno nel manovrare il mezzo. I controllori del metrò - mondo sotterraneo popolato da gente d’ogni guisa - portano una fascia al braccio, unico segno che li differenzia dagli altri. Grande sorella telecamera controlla ogni cosa e nulla le sfugge. La sala di verifica somiglia a quella di Brazil e si respira l’aria malsana dei luoghi di regime mentre si sgranocchiano arachidi e quotidianità. I protagonisti indossano attraenti facce ruvide, pigli schietti e caratteri efficaci: l’adorabile conducente del convoglio  
 
con deliziosa prole femminile vesitita da mamma orsa, lo sciocchino, il narcolettico e i compagni disillusi della squadra. Si esercitano nella corsa all’ultimo scatto tra un treno e l’altro con la brigata avversaria, ricevono una quantità spropositata di botte, elargite con particolare generosità da un manipolo di tifosi idrofobi, fatture promesse da zingare in cambio della multa e con piacere si gusta il passaggio dei col-  
loqui dallo psichiatra. Sangue e umori veri per un ispirato e ruspante esito grezzo senza sofisticazioni che risulta seducente. Manca invece all’appuntamento con l’interesse quando elabora la trascurabile vicenda dell’assassino spintonatore, abbandonando il groviglio di ruvida umanità per concentrarsi sulla vicenda personale di Bulcsù, controllore anch’egli che aveva un lavoro su, nella città e che si è perso, finendo a vivere nel ventre materno della metropolitana. Effetto generale passato ma non trapassato che ricorda lo sporco de "I Guerrieri della Notte" e che bizzarra sensazione, il prologo parlato: in pratica il nostro “ogni riferimento a persone o a fatti realmente accaduti….” in odore di scagionamento dalla realtà e da qualunque possibile reazione, ché i film hanno significato simbolico. Capito?

(di Daniela Losini)

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