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Prime sequenze: quattro
persone travestite
entrano nell’affollata
hall di una prestigiosa
banca. Nel giro di
pochi secondi, i rapinatori
sono padroni della
situazione e in più
con 50 ostaggi. Cosa
c’è di
più visto sullo
schermo? In più
di cento anni di cinema
quanti esempi di "bank
robbery" (come
dicono a Hollywood)
sono stati realizzati?
Eppure qui ci troviamo
di fronte a qualcosa
di nuovo, qualcosa
di molto originale
e sorprendente. Non
stupisce, visto chi
è il regista.
Basandosi su un sceneggiatura
particolarmente brillante
ed intelligente (l’autore
è un esordiente),
Spike Lee ha diretto
con evidente entusiasmo
un film eccezionalmente
non ricavato da un
suo copione (il filmmaker
afro-americano appartiene
alla scuola "do
it yourself",
"fa’ tutto
da solo"). Non
smentisce però
la sua fama di realizzatore
di lavori dinamici
e controversi che
smuovono |
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il
pubblico
(e nell‘opera
non
manca
la critica
sociale:
polizia,
mass
media,
pregiudizi
razziali…).
"Inside
Man"
(cioè
"L'uomo
che
sta
dentro")
non
è
un semplice
tipico
thriller:
è
un film
che
ti spinge
a guardare
dietro
le apparenze,
un film
in cui
niente
è
come
sembra,
un lavoro
in cui
le false
piste
abbondano
e solo
lentamente
e gradualmente
si comprende
il perché
le cose
accadono.
Un poliziesco
(ma
forse
è
riduttivo
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definirlo
tale) che
finalmente
non si basa
su sparatorie
e inseguimenti
di auto, ma
su una "idea".
Un’opera
"in cui
nulla è
vero ciò
che sembra
all’inizio,
in cui nessun
dettaglio
è trascurabile,
in cui nessun
indizio è
casuale"
(sono le frasi
di lancio
del film e
questa volta
la pubblicità
non mente).
Un lavoro
che, se avesse
avuto una
maggiore stringatezza
nella parte
centrale,
avrebbe potuto
aspirare al
titolo di
piccolo gioiello
del genere
e che è
senz’altro
da consigliare
agli amanti
dell’intrattenimento
puro che non
obblighi il
cervello al
momentaneo
letargo. Il
film è
impreziosito
da un montaggio
serrato, una
colonna sonora
funzionale
al massimo,
una fotografia
e una scenografia
da dieci e
lode. Stellare
il cast: da
Denzel Washington
(alla quarta
collaborazione
con Spike
Lee, ma qui
offre una
performance
semplicemente
corretta limitandosi
a rifare se
stesso) a
Willem Dafoe
(con la sua
sorprendente
capacità
di adattarsi
completamente
al ruolo che
interpreta).
I migliori
in campo sono
senza dubbio
Clive Owen
(sempre intenso
e dalla presenza
imponente,
da molti critici
giustamente
avvicinato
ad H. Bogart,
R. Mitchum,
S. Connery…)
e Christopher
Plummer (che
dopo aver
partecipato
a più
di cento film
conferma la
sua straordinaria
bravura disegnando
perfettamente
il personaggio
affidatogli).
Dà
lustro al
film la presenza,
sempre gradita,
di Jodie Foster:
appare in
poche scene
ma raramente
l’abbiamo
vista così
seducente,
sofisticata
e sexi. Presenza
magnetica
la sua: poche
attrici "riempiono"
lo schermo
come lei.
(di Leo
Pellegrini)
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