IN HER SHOES
 

recensione in her shoes

 
"In her shoes- Se fossi lei" è un film che ha premesse per lo meno sontuose. Premi oscar come il regista Curtis Hanson o l’eterna e grandiosa Shirley Maclaine. Un produttore come Ridley Scott. La sceneggiatrice di Erin Brocovich Susannah Grant. La deliziosa e brava Toni Collette, che abbiamo visto progressivamente, o quasi, dimagrire da "Le nozze di Muriel" fino a "Carla e Connie". Cameron Diaz. Qui spesso in biancheria intima. Ma non ne sarete troppo colpiti. Non tanto perché non sia un’apparizione da sogno, anzi. Ma perché l’attrice statunitense di origine cubana (da questo curioso incrocio le verrà il naturale senso dell’umorismo?) qui è davvero brava. Completa. Passa attraverso vari registri con sobrietà e bravura, sfida primi piani con l’orgoglio delle prime rughe che la rendono solo più donna. Un talento maturo, il suo,  
 
che molti faranno finta di non vedere. Ripercorriamo la storia buffa e commovente di due sorelle, la trasgressiva Maggie, afflitta da una dislessia sempre nascosta da un corpo stupendo, e la responsabile e introversa Rose. Accomunate solo dalla misura delle scarpe, sono troppo diverse per non amarsi alla follia. In 130 minuti, durata eccessiva, nota debolezza di un certo cinema con il complesso di essere leggero e con  
la voglia di dimostrare il contrario appesantendo il fardello di minuti sulle spalle dello spettatore, ci godiamo duetti gustosi tra queste due attrici notevoli, brave a spalleggiarsi e a non rubarsi la scena. Con la terza incomoda, l’incontenibile Shirley Maclaine; è lei, inoltre, ad introdurci nella trovata più divertente del film. I frequentatori del “complesso residenziale per anziani attivi”, dove una combriccola di vecchietti terribili, appassionati di "Sex and the city" e mai avari nell’assaporare i piaceri della vita, diventano una sorta di coro da teatro greco, che commenta con arguzia, ironia e delicatezza le parti salienti del film. Insomma, un capolavoro? Purtroppo, no. “Solo” un ottimo film. Il difetto sta in quello che non ti aspetti. Nell’omonimo romanzo di Jennifer Weiner da cui la pellicola è tratta. Scialbo, con un’ottima idea di fondo, ma con una costruzione stereotipata. Volendo tornare al cinema possiamo definirla un ottimo soggetto con una mediocre sceneggiatura. Lo ammette la stessa autrice, indirettamente, dichiarando “Non avrei potuto sognare una trasposizione cinematografica migliore per il mio libro”. In questo senso va apprezzato Hanson, regista alle prese con un nuovo genere, che affronta, però, con il mai sopito amore per le figure femminili. Qui ritroviamo la stessa perizia espressa nei personaggi di Kim Basinger in "L.A. Confidential" e di Frances McDormand in "Wonder Boys". La scrittura della Grant, poi, è sensibile e accurata, piena di dettagli che colgono il segno, che sanno raccontare quei piccoli e grandi traumi familiari, i peggiori da vivere e da raccontare, per tutti; solitamente i più dolorosi e sfuggenti. Lo fa senza irritanti patetismi o facili espedienti narrativi. Quando sceglie la strada più semplice, inoltre, lo fa con la giusta leggerezza. Ancora di più, quindi, dispiace l’eccessiva aderenza al libro in alcuni casi davvero deleteria.

(di Boris Sollazzo)

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