IL VENTO DEL PERDONO
 

recensione il vento del perdono

 
Il titolo originale della pellicola è “An unfinished life” (letteralmente “una vita incompiuta”) e tutto quello che s’intuisce, meglio, si paventa dal titolo scelto per la versione italiana, puntualmente si verifica. Morgan Freeman interpreta per la seicentesima volta il saggio, in questo frangente anche in debacle fisica dopo l’attacco di un orso. Siamo nel Wyoming, profonda e ruvida America da cow boys (a gennaio gli stessi scenari regaleranno ben altre emozioni con “Brockeback Mountins”) e Robert Redford è un introverso e brusco uomo delle montagne dedito al sarcasmo (sono sue le battute più dissacranti e sincere, come quella sui venditori di bibbie ai quali non si sognerebbe mai di aprire la porta: vendono merce scaduta), alla manutenzione della fattoria e all’ossessione per il figlio morto in un  
 
incindente. Convive con l’amico-aiutante bisognoso di cure dopo l’aggressione. Gli piombano tra capo e collo, la nuora (Jennifer Lopez, alla sua seconda incursione nel mondo delle donne maltrattate ma questa volta fa volare le parole e non i calci) che porta con sé la figlia (Becca Gardner, giovanissima esordiente dallo sguardo vispo) in fuga da un compagno manesco e in cerca di protezione. Dissapori,  
rancori, segreti e bugie decotti nell’effetto cinema più classico: porte che sbattono, malumori, assennati consigli (chissà chi li impartisce?) contro asperità amabili e comprensibili. Dolori dell’anima maturati nel silenzio che vengono a galla scoppiettando come pallottole nelle frasi accusatorie e nel vetriolo dell’amarezza. Ma la natura ci mette lo zampino - anzi la zampata del Grizzly - e la libertà e gli affetti familiari vincono. Lasse Hallstrom dopo “Chocolat” annega il tema più sviscerato e sviscerabile del mondo come il perdono in una struttura di narrazione classica e circolare il cui esito è manifesto prevedibilmente sin dal primo fotogramma. Ne risulta un dramma nemmeno troppo compiaciuto anche se sdrucito e senza il mordente cui certo cinema amabilmente logoro ma monumentale (si veda Clint Eastwood) riesce a soddisfare sguardo e lecite aspettative.
(di Daniela Losini)

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