IL FANTASMA DI CORLEONE
 

recensione il fantasma di corleone

 
Già fotoreporter per la stampa, dopo gli eccidi mafiosi degli anni ’90 Marco Amenta a 18 anni, in preda allo sconforto, lascia la Sicilia per Parigi. Qui si laurea in cinematografia e realizza corti e documentari su guerra dei Balcani, Cuba e la collaboratrice di giustizia Rita Atria (“diario di una siciliana ribelle”), che ottiene numerosi premi in festival internazionali. Trascorsi 10 anni di auto-esilio, egli decide di tornare nell’isola per girare questa docu-fiction su Bernardo Provenzano, boss latitante da più di 40 anni. L’opera mette insieme materiale di repertorio, interviste e ricostruzioni interpretate da Marcello Mozzarella, attore che impersonò Placido Rizzotto nell’omonimo film sul sindacalista ucciso da Cosa Nostra. Origini contadine, Provenzano decise di crescere come sicario sotto l’ala protettiva del boss Luciano Liggio. Soprannominato "tratto-
 
 
re” per la ferocia delle sue esecuzioni, egli entrò in clandestinità nel ’63 e insieme a Toto Riina e Leoluca Bagarella dichiarò poi guerra (5 mila le vittime) ai clan palermitani, segnando la nascita di una nuova mafia, spietata eliminatrice di parenti, amici, donne e bambini. Da allora, il ricercato numero uno probabilmente vive nella zona tra Palermo, Trapani e Agrigento, si avvale di 3-4 complici incensurati e comunica esclusiva-  
mente attraverso “pizzini”, foglietti di carta scritti a mano. Il gusto per la beffa o la convinzione di essere nel giusto lo hanno spinto a nominare un avvocato difensore, oppure attraversare tutta l’Italia, o ancora ottenere un rimborso dalla regione per l’intervento alla prostata in una clinica francese nel 2003. Ha accumulato un patrimonio di cui non può godere, ma ciò conta relativamente, in quanto “per lui - dice Giordano Lo Verso (psicologo esperto di Cosa Nostra) – comandare è tutto”. Resta libero anche se, come sostiene uno degli interlocutori nella pellicola, “la galera è stata la vita che si è scelto. Come uomo non è mai esistito”. Calma fredda, studio dell’avversario e utilizzo degli altrui errori gli hanno permesso di vivere latitante per oltre 40 anni. “Genio del male” lo definisce infatti qualcuno della controparte istituzionale, sebbene le responsabilità della mancata cattura siano soprattutto altre, più concrete e gravi. Per l’appunto nel film vengono tirati in ballo - è tutto agli atti - massoneria, servizi segreti e soprattutto politica (citati Forza Italia, il suo capo e Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa). Esiste cioè un “patto” per un “equilibrio perfetto” fatto di voti di scambio, eliminazione di avversari, interessi in comune. Questo spiega perché rappresentanti dello Stato sulle tracce del boss siano stati bloccati da ordini dall’alto e screditati, collaboratori eliminati, dichiarazioni dei pentiti private di valenza probatoria. Ecco quindi trovare risposta la domanda di fondo su una caccia interminabile: “come è possibile?”.

(di Federico Raponi)

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