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Era filtrato ben poco
intorno al film e
questo, oltre all’assenza
quinquennale di Nanni
Moretti alla regia,
ha contribuito al
clima d’attesa.
E nel parlarne non
si può poi
neanche prescindere
dalla contingenza
legata a tempi e modi
strategici scelti
per l’uscita,
considerato che la
pellicola arriva in
sala in un fine settimana
praticamente privo
di concorrenza (ad
eccezione dell’incognita
gradimento per il
rifacimento de “la
pantera rosa”),
in una diffusione
massiccia di 380 copie,
e soprattutto a due
settimane da elezioni
politiche dai toni
esasperati. Un progetto
in cui parte del cinema
nostrano ha deciso
di schierarsi, vista
l’ampia partecipazione,
in qualità
di camei, di molti
registi: Giuliano
Montaldo, Renato De
Maria, Carlo Mazzacurati,
Stefano Rulli, Matteo
Garrone, Paolo Sorrentino,
Paolo Virzì,
Michele Placido, Antonello
Grimaldi. Un |
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doppio
piano
narrativo,
con
un regista
di genere
(di
titoli
improbabili)
in passato
apprezzato
ed ora
in profonda
crisi
matrimoniale-artistica,
contattato
da una
giovane
autrice
la quale
gli
affida
“il
caimano”,
lo scritto
per
un film
che
altro
non
è
se non
la storia
pubblica
dell’attuale
presidente
del
consiglio
nostrano.
La ragazza
è
determinata,
sostiene
che
negli
Stati
Uniti
sono
tante
le pellicole
che
parlano
dell’inquilino
della
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Casa
Bianca utilizzando
i linguaggi
più
diversi, mentre
in Italia
no. “Perché
c’è
paura”.
La sceneggiatura
- nella realtà
firmata dallo
stesso Moretti
e da altre
quattro mani
- man mano
prende quindi
vita. In essa,
pur restando
circondata
di mistero
l’origine
del patrimonio
alla base
della costruzione
di un’intera
area residenziale
milanese,
noti sono
invece i passaggi
delle società
off-shore
intestate
a prestanome
e dei conti
correnti segreti
svizzeri per
finanziare
illegalmente
i partiti,
corrompere
guardia di
finanza e
giudici, evadere
il fisco.
Poi, per fronteggiare
i debiti e
le inchieste,
“la
discesa in
campo”
nella politica
e il costante
inveire contro
protagonismo
delle toghe
rosse, pericolo
del comunismo,
odio della
sinistra,
irriconoscenza
degli alleati.
Un contesto
arricchito
da due perle
registrate
che danno
un’immagine
già
conosciuta
ma ugualmente
sbalorditiva
della psicologia
del personaggio
(reso triplice
da altrettanti
attori), quali
l’intervento
al parlamento
europeo in
cui “il
caimano”
definisce
un deputato
“kapò”
e gli altri
che lo contestano
“turisti
della democrazia”,
come pure
l’udienza
in tribunale
in cui egli
spiega la
metodologia
da “perfezionista”
utilizzata
per i regali
di natale
alle mogli
dei manager
delle sue
aziende. Non
manca il punto
di vista estero,
con il cineasta
Jerzy Stuhr
che stigmatizza
gli italiani,
“abituati
alle vostre
schifezze.
A metà
tra l’orrore
ed il folklore.
Quando pensiamo
che avete
toccato il
fondo, siete
lì
che scavate,
scavate, scavate”.
Doppio è
anche il tono
scelto dall’autore
di “ecce
Bombo”
e “Bianca”,
convinto che
“è
sempre il
momento per
fare una commedia",
sebbene ci
sia poco da
ridere ed
un fosco finale
con musica
epicamente
poderosa mostri
il rischio
delle istituzioni
in caso di
condanna dell’imputato
eccellente.
Dell’uomo
più
ricco del
paese, cresciuto
all’ombra
del potere
craxiano e
della loggia
massonica
P2, creatore
di un impero
economico
e della televisione
privata, il
primo capace
di portare
a termine
un’intera
legislatura
nell’era
repubblicana
ed artefice
di un pezzo
di storia
nazionale,
molto si è
scritto e
filmato sotto
forma documentaristica.
Sintetizzando
la deriva
di un’intera
società
in un tragicomico
momento buio
personale,
quello di
Moretti è
un difficile
contributo
di finzione.
Consapevole
che “chi
voleva sapere
si è
informato,
e chi no non
è interessato”,
rende l’idea
di un paese
diviso. Simbolicamente,
fresco entusiasmo
femminile
contro pericolosità
del potere.
Ma così
non sfugge
al manicheismo
e alla demonizzazione
di una figura
che - come
sempre - è
espressione
di un terreno
e di un clima,
date anche
le corresponsabilità
dell’opposizione
ad una - come
sempre - resistibile
ascesa.
(di Federico
Raponi)
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