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recensione fuoco
su di me
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Dopo l’indimenticabile
"Il resto di
niente" di Antonietta
De Lillo, un altro
film storico di grande
importanza per la
valorizzazione della
cultura campana e,
in particolare, napoletana.
Siamo nel 1815, periodo
che vede il dominio
della figura di Gioacchino
Murat (Zoltàn
Ràtòti).
Il ventenne Eugenio
(Massimiliano Varrese)
torna a Napoli per
trascorrere la sua
convalescenza nella
città natale,
in seguito a una ferita
riportata in battaglia.
Il ragazzo riscoprirà
l’affetto per
il nonno sognatore
e letterato, si farà
ammaliare dalla poliedrica
città partenopea
e si innamorerà
di una giovane medio-orientale
esperta nella lavorazione
del corallo di Procida
(la brava Sonali Kulkarni,
protagonista del precedente
lungometraggio di
Lambertini Vrindavan
Film Studios). È
un cammino verso la
scoperta di sé,
una lenta e progressiva
palingenesi identia- |
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ria
che
s’intreccia
con
la Grande
Storia,
il sogno
prematuro
che
Napoli
diventi
la capitale
dell’Italia
Unita.
Tre
sono
i punti
di forza
dirompenti
della
pellicola.
Innanzitutto
la sontuosa
scenografia,
che
ci mostra
una
Napoli
–
sia
negli
ambienti
interni
sia
in quelli
esterni
–
preziosa
e parimenti
verace.
In secondo
luogo
i costumi,
perfino
emozionanti
nel
loro
accostarsi
per
assonanza
alle
tele
di Francesco
Hayez:
qui
il gusto
cromatico
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di Lambertini
e di Annalisa
Giacci tocca
punte di rara
fascinazione.
Da ultimo
non si può
non far cenno
all’ottima
interpretazione
di Omar Sharif,
principe saggio
ed emotivo
che ingaggia
una lotta
solitaria
per affrancare
la gentilezza
dal rango
di difetto
caratteriale.
Un buon film,
dunque, seppur
viziato da
un filosofeggiare
qua e là
troppo insistente
e da una performance
attoriale
del protagonista
francamente
non all’altezza.
Peraltro le
intersezioni
con l’epica,
la pittura,
il teatro,
la poesia
non sono prive
di efficacia
ma più
di una volta
si ha la sensazione
di un certo
accumulo tematico/formale
che intacca
l’atmosfera
‘mitica’
della pellicola.
Nonostante
questi squilibri
"Fuoco
su di me"
è un
film storico
di solido
impianto,
abile nel
passare dal
microcosmo
intimo al
macrocosmo
politico e
in grado di
regalare delle
sequenze che,
come raramente
succede al
cinema, richiamano
alla mente
dello spettatore
che possa
e voglia coglierle
suggestioni
romantiche
(Turner, Shelley,
Keats …)
forse demodè
ma vivide
e profonde.
(di Marco
Santello)
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