FRAGILE
 

recensione fragile

 
Dall’inquietante autore di “Nameless” e del discontinuo “Darkness” che ci avevano dato qualche brivido nonostante la lentezza e l’esasperazione dei tempi cinematografici, una nuova e cupa avventura di spettri ambientata in un vecchio ospedale con un piano fatiscente e una presenza raccapricciante che lo domina. Qualcosa di strano accade nel reparto pediatrico di Mercy Falls (ndr “Cascate della pietà”). I bambini sognano incubi che li atterriscono e subiscono ancor più inspiegabili fratture invalidanti. Alcuni ragazzini dotati riescono a percepire la presenza più di altri e una piccola designata, comunica con l’ignoto attraverso cubi giocattolo con le lettere. Emerge il nome di Charlotte, conosciuta come la ragazza meccanica. Nei corridoi dell’ospedale strisciano ombre, si frantumano bicchieri, entità  
 
maligne emergono da letti immacolati (già visto? Sì, in “The Grudge” versione americana), i rumori e gli attacchi ai fanciulli diventano più orribili e paurosi, quanto più la ecto-bambina è arrabbiata. L’edificio attende di essere evacuato - deve essere sgombrato per chiusura - ma bisogna prima fare i conti col Male che vuole trattenere il suo nutrimento. Arriva nel reparto un’infermiera (la sottile Calista Flockart) sensibile  
alle suggestioni dell’irrazionale, trovando il suo posto nel compimento del fato. La trama poco articolata (unica graffiatina d’orgoglio, il colpo di scena rivelatore che racconta il segreto della ragazzina di ferro) si crogiola nella fiera del già visto/sentito/immaginato, sbrogliandosi frettolosa. Strizza un occhio al “Sesto Senso” - il tema della morte sospesa - e uno alla tradizione più classica della casa infestata. Il giochetto di dilatare i tempi è scoperto sin da subito e anche se la molla della curiosità scatta, è una molla arrugginita e tradita ben presto dall’eccesso di verbosità riversata nei dialoghi, dalla musica che ridonda pesante e dal finale in sospeso. Come il giudizio.
(di Daniela Losini)

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