John Singleton è
un regista abile,
aggressivo, esagerato,
vagamente selavaggio.
Nel dirigere, nel
raccontare, nel cercare
i lati estremi della
vita e dell’animo.
Sia nei film impegnati
e sociali come "Boyz
‘n the Hood",
nel duro e imperfetto
"Baby Boy"
e nell’ultra
fashion "2Fast
2Furious". Non
c’è da
aspettarsi (neo)realismo
da uno così.
"Four Brothers"
fa parte di quel cinema
americano che tutti
snobbano e molti adorano.
E’ una pellicola
intrisa di sangue,
sudore, ammiccamenti
simpatici e buoni
sentimenti in salsa
agrodolce. Condito
da immagini e interpretazioni
sopra le righe, ma
strepitose. Il plot
diventa scontato,
ma non troppo. Le
dimostrazioni di bravura
balistica, di forza
muscolare e di lucida
follia sono ridondanti
ed eccessive. Ma proprio
questo cocktail, senza
nessuna pretesa di
aderenza alla realtà,
rende il film dav-
vero
piacevole
nonostante
le imperfezioni.
L’opera
descrive
la vicenda
di quattro
fratelli
molto
particolari.
Nati
in realtà
difficili,
finiscono
in affido
ad Evelyn
Mercer,
madre
universale
di tutti
i bambini
e gli
adolescenti
disadattati
della
città,
in attesa
che
vengano
adottati.
Ma quattro
ragazzi
rimarranno
sempre
nella
sua
casa,
due
bianchi
e due
neri.
Il violento
e paterno
Bobby
(Mark
Wahlberg),
il passionale
e monu-
mentale
Angel (Tyrese
Gibson), il
fragile e
ribelle Jack
(Garrett Hedlund)
e il tormentato
e responsabile
Jeremiah (Andrè
Benjamin).
Troppo indisciplinati,
per usare
un eufemismo,
perché
una famiglia
voglia e riesca
ad accoglierli.
Cresceranno
e le loro
strade si
separeranno.
Si riuniranno
perché
Evelyn verrà
brutalmente
uccisa. La
vendetta,
unico vero
espediente
narrativo
che unisce
le cinematografie
di tutto il
mondo, li
riporterà
insieme, non
solo fisicamente.
Scopriranno
che la simpatica,
e vagamente
petulante,
vecchietta
(Fionnula
Flanagan)
non aveva
dato loro
solo un cognome,
ma un legame
e dei valori
più
forti e solidi
di quello
che loro stessi
credessero.
Messaggio
importante
che non brilla
per originalità.
Ma sicuramente
tiene avvinti
alla poltrona
grazie al
ritmo, ad
un’ottima
colonna sonora
e ad una notevolissima
performance
del cast,
sia nei protagonisti
che nei comprimari
(tra cui una
Sofia Vergara
esplosiva.
In tutti i
sensi). Sopra
tutti va menzionato
il sempre
troppo sottovalutato
Mark Wahlberg,
già
grandioso
in "Boogie
Nights".
Ottimo giallo
e divertente
commedia,
una storia
epica e autoironica
che ci regala
nei suoi eccessi
uno spaccato
di multirazzialità
che ci ricorda
che troppo
spesso è
la lotta di
classe il
vero spartiacque,
non quella
tra razze,
specchietto
per le allodole
di un potere
compiacente.
Perché
certi messaggi,
pur edulcorati
e ingenui,
non li troviamo
solo nei documentari
militanti
o nei cervellotici
film di lotta.
Ma anche in
un divertissement
come questo,
sfacciatamente
melodrammatico.