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Forever Blues: una
storia solo in apparenza
semplice, minata com’è
dal rischio di sconfinare
nella banalità
del già visto
e nell’enfasi
retorica, di operare
semplificazioni didascaliche
o di risolversi in
un minimalismo di
maniera. Uno dei pregi
maggiori dell’esordio
alla regia di Franco
Nero è proprio
quello di accettare
la sfida di petto,
riuscendo con coraggio
e sensibilità
ad attraversare luoghi
e situazioni che pensavamo
di conoscere a menadito
con uno sguardo sinceramente
nuovo. Nero fotografa
luci ed ombre di un
rapporto senza paura
di affrontare un situazione
difficile, che purtroppo
esiste in molte famiglie
italiane. Non a caso
il film esce nelle
sale a ridosso del
19 marzo, festa del
papà. Su Forever
Blues incombe il pesante
pregiudizio riservato
ai film italiani che
ambiscono al ritratto
generazionale e raccontano
il mondo |
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provinciale.
Tuttavia,
l’amore
e la
musica
creano
un connubio
convincente,
in grado
di trasportarci
là
dove
solo
il Blues,
col
suo
linguaggio
internazionale,
sa liberare
la bellezza
insita
in ognuno
di noi.
Basti
dire
che
le musiche
sono
curate
da Lino
Patruno,
il più
importante
jazzista
italiano.
La musica,
come
l’amore,
come
la speranza,
non
ha confini.
E questo
film
possiede
una
luce
rara,
capace
di accendere |
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un’emozione
a tratti vicinissima
alla poesia.
E ci insegna
tante cose,
senza suggerirci
quale strada
imboccare.
Quello di
Franco Nero
è un
cinema a lungo
sognato e,
per certi
versi, ancora
da raggiungere.
Penalizzanti
risultano
un’atmosfera
poco cinematografica
e non sempre
di qualità;
interpretazioni,
con relativo
doppiaggio,
poco incisive;
un ritmo zoppicante,
a volte fiacco.
La tromba,
autentica
protagonista
del film,
rappresenta
l’unica
ragione di
vita per un
uomo più
solitario
che solo.
Il paesino
italico è
ideale in
quanto deserto,
meta di pellegrinaggio
dell’anima
di un uomo
rassegnato
e dal passato
destabilizzante.
Il New Orleans
Cafè,
locale in
cui il personaggio
di Franco
Nero si esibisce,
è quel
palcoscenico
privato del
sole in cui
i componenti
dell’intera
band diventano
figurine surreali,
perse in un
paesaggio
arido, alla
ricerca di
qualcosa di
saldo cui
aggrapparsi.
Poi, l’incontro
con il piccolo
Daniel Piamonti,
che interpreta
un bambino
autistico.
Le poche ore
in cui i due
stanno insieme
(forse troppo
poche) creeranno
una via di
fuga dall’emarginazione,
dall’isolamento,
dall’apatia.
Attorno a
loro, una
fauna d’umanità
sconnessa
e disorganica.
E, senza voler
narrare quel
che accade
nel finale,
il seme gettato
da Luca (Nero)
per far sbocciare
il risveglio
dall’infausto
torpore di
Marco (Piamonti),
trasmette
il testimone
della dedizione
alla magia
delle note
musicali.
L’unione
fra jazz e
denuncia sociale
deriva principalmente
da due interessanti
film che hanno
condizionato
il regista,
trattasi di
"Da qui
all’eternità"
(con Montgomery
Clift trombettista)
e Giovani
arrabbiati,
e dall’esperienza
fatta presso
un’associazione
che si occupa
di ragazzini
con problemi
familiari.
Il film è
stato presentato
negli Stati
Uniti a Broadway,
a Washington,
a Los Angeles
e, in Italia,
alla Casa
del Cinema
di Roma, riscuotendo
plausi di
critica e
pubblico.
Perché
latore di
un messaggio
per nulla
pretenzioso
e assertivo:
se dividi
la solitudine
con qualcuno,
allora il
destino può
svoltare.
(di Bruno
Trigo )
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