FINAL DESTINATION 3
 

recensione final destination 3

 
E’ successo di nuovo: un gruppetto di teenagers from USA è scampato a un incidente mortale (in questo caso, un tragico giro sulle montagne russe di un luna park) grazie alla premonizione di uno di loro (in questo caso una brunetta di nome Wendy), ma si sa, il destino dei ragazzi è già segnato, e la morte, con diligenza e crudeltà, ha intenzione di portare a termine il proprio lavoro... Così i giovani sopravvissuti al disastro iniziano a morire uno dopo l’altro in circostanze assurde secondo l’ordine in cui dovevano essere seduti sulla giostra, mentre Wendy e il suo amico Kevin, che stavano agli ultimi posti, cercano in tutti i modi di modificare il tragico fato dei loro amici, e di conseguenza il loro, usando come indizi le foto fatte dalla ragazza al luna park, che in maniera più o meno indiretta mostrano gli elementi, gli og-  
 
getti e le situazioni che si riveleranno fatali per loro... La saga di Final Destination arriva al suo terzo capitolo, che di solito rappresenta un bivio per questo genere di produzioni: può imporsi come trilogia, oppure come spesso avviene, dare il via ad una pletora di sequel, di cui, forse, uno di questi ambientato nel futuro, in una stazione spaziale (lo hanno fatto con Venerdì 13 e con Hellraiser, potrebbero farlo anche con  
"Final destination"). Dopotutto Final Destination può semplicemente essere liquidato come pretesto per vedere adolescenti massacrati nei modi più crudeli, fantasiosi e inverosimili; lo scopo è quello, ma comunque c’è stato un lavoro di meticolosità dietro. Gli sceneggiatori e ideatori della saga James Wong (anche regista, come nel primo film) e Glen Morgan sicuramente si saranno divertiti e al tempo stesso scervellati come al solito per ideare le bizzarre sequenze di causa-effetto che ne costituiscono l’elemento distintivo e vincente (simili a quelle che appaiono in alcuni vecchi cartoon) dove anche l’oggetto più innocuo può dar vita a un escalation dagli esiti letali. Tutto il resto risulta funzionale a questa prerogativa: un cast che rappresenta, com’è giusto che sia in questo genere di produzioni, una galleria di teenagers stereotipati (cosa sarebbe il cinema di genere senza di loro?) che va dallo sportivo pieno di se ai darkettoni, dalle ragazze cretine e alla moda, allo sfigato arrapato. La regia di Wong riesce a insinuare un minimo di senso d’inquietudine già a partire dei titoli di testa, e la tensione aumenta di pari passo ogni volta che la macchina da presa indugia sui particolari degli oggetti responsabili delle successive carneficine; anche se il montaggio veloce a volte rende poco chiare alcune parti di queste sequenze, i risultati finali risultano comunque efficaci. Va comunque citato il tentativo di diversificare il tono delle varie morti, alcune risultano davvero forti e sgradevoli, altre riescono invece a strappare una risata. Tra una morte e l’altra troviamo i momenti in cui la coppietta protagonista disquisiscono su come fare per risolvere la situazione e salvare il salvabile...queste sequenze risultano un po’ annacquate,anche se si ha la curiosa sensazione di avere a che fare con le versioni teen degli agenti Mulder e Scully (da cui si capisce che Wong si è fatto le ossa con X-Files). In definitiva Final Destination 3 sarà gradito soprattutto, oltre che dai fan della serie, da chi apprezza non tanto il “cosa” mai il “come”dei film...da segnalare per gli appassionati, un paio di chicche riguardanti i Ramones, la più grande Rock ‘n Roll band di tutti i tempi (almeno per il sottoscritto...).

(di Marco Notari)

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