FACE ADDICT
 

recensione face addict

 
Edo Bertoglio fotografo di professione che predilige i ritratti (si dichiara drogato di volti e da qui il titolo "Face Addict") è uno dei superstiti della famosa e famigerata Factory di Andy Warhol. Sul finire degli anni settanta sino al limitare degli anni novanta il manipolo di menti creative che ne faceva parte (la morte dello stesso Warhol avvenuta nel 1987 disgregò definitivamente il gruppo, già sfoltito dall’abuso di stupefacenti e dallo spettro dell’Aids) stravolse e animò la scena artistica newyorchese. A cinquantatrè anni Bertoglio, apre il vaso di pandora dei ricordi e si orienta sul terreno scivoloso della memoria con l’aiuto delle foto scattate in quel periodo ormai archiviate e impolverate dal tempo. Intraprende un viaggio nel passato che trasuda dolore, tenera e asciutta follia e scava nel profondo senza sconti alla miserabile e fatale de-  
 
cadenza umana. Riporta alla luce il valore artistico delle correnti “pop” e tutti i derivati del genere (i nomi? Jean Michel Basquiat, Keith Haring, Debby Harry, i Lounge Lizards e John Lurie, Maripol, Glenn O’ Brian, James Nares, Victor Bockris, Wendy Whitelaw) concentrandosi sull’elemento umano che prende il sopravvento in barba alla rendita dell’allure di mito che ridonda deleteria attorno a quel periodo così  
esplosivo e gravido di creatività. Mostra senza vergogna in tono didascalico ma partecipe la tortura e il desiderio della droga: tutti ne facevano uso scriteriato e nello stesso modo col quale ne argomentano razionali gli effetti straordinari sulla psiche - riversati nella capacità di sopportare meglio il grigiore della vita tradotta poi in arte a trecentosessanta gradi - ne denunciano la subdola capacità di possessione e l’enorme fatica a staccarsene. Walter Steding assistente personale di Warhol, pittore e violinista spiritato è lo straordinario, tragico latore della disperazione, è colui che incarna la stella che sei stato o potresti essere - anche per soli quindici minuti - e che non si rassegna a rimanere ombra per il resto della vita che resta da vivere. Impresa ardua: hai toccato il cielo, ne sei sceso dolorante ma vivo e la maturità è una maschera impietosa e terribile da indossare. Come un abito della taglia sbagliata c’è da augurarsi di saperlo adattare. Ne scaturisce un documentario scarno e rudemente delicato che non cede il passo all’autocommiserazione né alla nostalgia compulsiva. Lo sguardo concede squarci di vite, esperienze e volti scavati nella malinconia: quella dolente che racconta briciole di un tempo vissuto con incoscienza. Fulgore e squallore di luci inconsapevoli: alcune per sempre spente altre per sempre confuse in una moltitudine di fiammelle.

p.s. *Face Addict è un progetto cumulativo: il film documentario e la relativa mostra fotografica saranno itineranti nelle principali città italiane. Si parte da Milano l’11 novembre, poi Roma, Bologna e altre località in corso d’organizzazione.

(di Daniela Losini )

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