THE EXORCISM OF EMILY ROSE
 

- recensione -

 
Il tema della possessione demoniaca da sempre sembra aver suscitato interesse da parte dell’universo delle immagini in movimento, infatti, prima e dopo la realizzazione di quel maxi-classico della celluloide intitolato "L’esorcista" (1973), per la regia di William Friedkin, le pellicole incentrate su corpi invasati dal diavolo sono state non poche; basterebbe citare "Il demonio" (1963) di Brunello Rondi, "L’anticristo" (1974) di Alberto De Martino, "Chi sei?" (1975) di Ovidio Assonitis e Roberto D’Ettore Piazzoli e "L’eretica" (1975) dello spagnolo Amando De Ossorio. Per non parlare della rilettura erotica fornita da "Malabimba" (1979) di Andrea Bianchi e di quelle parodistiche, da "L’esorciccio" (1975) di Ciccio Ingrassia a "Riposseduta" (1990) di Bob Logan, interpretato dalla stessa Linda Blair del film di Friedkin. Ora Scott Derrickson,  
 
noto al pubblico degli appassionati di cinema horror per aver sceneggiato, nel 2000, il secondo episodio della saga "Urban legend" e per aver diretto, nello stesso anno, il riuscito "Hellraiser 5: Inferno", torna dietro la macchina da presa per raccontare una vera vicenda di esorcismo che pare gli abbia fatto ascoltare, attraverso una registrazione, un agente di polizia specializzato nelle indagini su fenomeni  
paranormali. Con un cast che comprende il Tom Wilkinson di "In the bedroom" (2001), la Laura Linney di "Conta su di me" (2000) e la Jennifer Carpenter di "White chicks" (2004), "The exorcism of Emily Rose" mette in scena l’estenuante processo di Padre Richard Moore, difeso dall’avvocatessa single repressa ed amareggiata Erin Bruner, accusato di una negligenza fatale per aver portato alla morte, attraverso un esorcismo, la giovane Emily Rose, la quale aveva abbandonato la sua tranquilla casa di campagna per andare a frequentare il college, dove ha poi cominciato a soffrire di frequenti allucinazioni e dolorosi attacchi. “Akira Kurosawa è senza dubbio il mio regista preferito e ritengo che Rashomon sia il suo film migliore. La sua struttura è affascinante e avvincente. Sostanzialmente, si tratta di un dramma processuale che si concentra su un singolo evento, osservandolo da diversi punti di vista. La possibilità di poter fare dei flashback durante le scene in tribunale e presentare così diversi punti di vista sulla possessione e l’esorcismo di Emily Rose permette al pubblico di farsi un’opinione personale su quello che è avvenuto. Volevo realizzare un film che spingesse la gente a riflettere sulle proprie convinzioni riguardanti il male e il demonio. E quando ci si pone queste domande, è inevitabile poi interrogarsi anche sulle proprie idee a proposito di Dio, della morale e della natura della memoria e della verità”. Così Scott Derrickson parla della sua ultima fatica, co-sceneggiata dall’inseparabile Paul Harris Boardman, che si avvale anche della presenza di Campbell Scott (Scelta d’amore) e Colm Feore (The chronicles of Riddick), connubio tra il succitato filone demoniaco ed i classici verdetti cinematografici, la quale, con il passare dei minuti, spinge sempre di più lo spettatore a provare interesse nei confronti della terrificante esperienza vissuta dal sacerdote. Gli attori hanno quindi modo di sfoggiare tutta la loro bravura, mentre la bella fotografia di Tom Stern (Million dollar baby) provvede a “raffreddare” le immagini, a lungo andare, però, lo script comincia ad essere ripetitivo e, di conseguenza, noioso; come se non bastasse, poi, il regista, attento a rimanere su un piano altamente realistico, finisce per ingannarsi ricorrendo ad effetti digitali, i quali non fanno altro che rendere artificiose le situazioni orrorifiche che si susseguono sullo schermo. Terminata la visione, i fan de "La giuria" (2003) rimarranno sicuramente più soddisfatti rispetto a quelli del capolavoro di William Friedkin.

(di Francesco Lomuscio)

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