DICK & JANE
 

recensione dick & jane

 
Il Jim Carrey che ci piace meno è questo: sacrosanta sopravvivenza lavorativa a parte, recita al minimo sindacale asservito alla trama inesistente che – per fortuna - si dipana veloce. La famigliola pseudofelice vive in un quartiere residenziale e sgobba per accedere all’olimpo del benessere: mercedes senzienti, tivu al plasma, domestica esotica. Quando si presenta l’occasione per diventare vicepresidente, il protagonista non se la lascia sfuggire e suggerisce alla moglie (Tea Leoni) di lasciare il lavoro per godersi prole e villona con prato all’inglese. L’imprevisto smantellamento dell’azienda-chioccia, fonte di ogni sostentamento e investimento familiare (vedi la nostrana Parmalat e innumerevoli altri casi nel mondo), lascia il nucleo col sedere per terra. Dopo inutili ricerche di impiego (guai a finire  
 
a friggere le patatine in un fast food, meglio testare velenosi prodotti estetici e far brutte figure come gerente al supermercato) si risolvono a delinquere. Prima impacciati poi spicci, specializzandosi in furti e travestimenti. Lavori per dei ladri che falliscono? Tanto vale diventare ladri per sopravvivere. Le risate in sala si spera siano mera necessità (vale anche per quelli che ridono a comando durante la program-  
mazione natalizia, altra forma di obbligo?) per constrastare la noia. Nel mare di ovvietà e tristi rimandi alla rapacissima ipercompetitività tipicamente americana, un paio di gag sono meno stiracchiate: il presidente fallito ma riccone (il bolso Alec Balwin) fa il verso al peggior Bush cacciatore e la scimmietta per i test, si ribella allo sperimentatore. Isolate, sono perfette per rimediare uno di quei molesti video da passare via mail. Lungometraggio pretestuoso e inverosimile con l’aggravante del finale munito di buona azione per il fondo pensione. Certe brutte notizie sono annunciate anche dai soprannomi: quello di Carrey/Dick è Schizzetto. Come la pellicola, uno schizzetto a caso. Evitabile.

(di Daniela Losini)

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