DARK WATER
 

recensione dark water

 
In causa con l’ex marito Kyle (Dougray Scott) per ottenere la custodia della figlia Ceci (Ariel Gade), Dahlia Williams (Jennifer Connelly) va’ a vivere con lei in un appartamento all’interno di uno squallido edificio situato nella periferia di New York, scoperto tramite l’agente immobiliare Murray (John C. Reilly). Nella nuova abitazione, tutto procede tranquillo finché non cominciano ad accadere strani eventi: una dilagante chiazza d’acqua compare sul soffitto della camera da letto ed il ritrovamento di una borsetta rossa sembra essere legato alla misteriosa scomparsa di una bambina. Altro remake americano di un prodotto di tensione orientale, questo "Dark water" prende le mosse dall’omonimo lungometraggio diretto nel 2002 da Hideo Nakata, regista del primissimo, originale "The Ring" che ha portato all’attenzione mondiale il movi-  
 
mento horror giapponese. Rifare un cult-movie talmente acclamato sia dalla critica che dai fan del genere horror sembrava una scommessa persa sin dal principio, ma bisogna dire che questa versione a stelle e strisce di "Dark water" non fa affatto rimpiangere l’originale, in un certo senso anche piuttosto noioso. Probabilmente, azzeccata è stata la scelta del regista brasiliano Walter Salles, autore di pellicole impegnate co-  
me "Central do Brasil" e "I diari della motocicletta", in quanto è forse proprio questa sua capacità di rendere il più realistico possibile ciò che succede sullo schermo a giovare al prodotto. Più di tre quarti di film sono incentrati sul rapporto familiare che c’è tra Dahlia e sua figlia Ceci, ma il sottofondo paranormale è già avvertibile, grazie anche all’avvolgente velo di mistero abilmente generato dalla curata fotografia di Affonso Beato (Great balls of fire!-Vampate di fuoco), dalle sempre ottime musiche del lynchano Angelo Badalementi (I segreti di Twin Peaks) e, soprattutto, dal montaggio di quel Daniel Rezende già apprezzato, tra l’altro, in "City of god". Non da meno, poi, al di là di un ottimo cast che comprende anche un inquietante Pete Postlethwaite (Nel nome del padre) ed un irriconoscibile Tim Roth (Pulp fiction), il cui personaggio dell’avvocato dalla vita coniugale misteriosa è un tassello importante per il messaggio sull’unione familiare che il film vuole emanare, è il grande lavoro svolto da Therese Deprez (Summer of Sam) sulle scenografie, la quale sembra aver curato l’aspetto del decadente palazzo di periferia in ogni minimo dettaglio. In conclusione, complice anche la fondamentale sceneggiatura di Rafael Yglesias (La vera storia di Jack lo squartatore), leggermente, significativamente modificata rispetto allo script giapponese, il "Dark Water" di Walter Salles risulta nettamente superiore a quello nakatiano, anche se bisogna ammettere che il nostro concetto di spettacolo è molto diverso da quello degli “autoriali” orientali.

(di Mirko Lomuscio)

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