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recensione cacciatore
di teste
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"Crudo, essenziale,
neorealista. Soprattutto
attuale ed agghiacciante":
questo il giudizio
di "La Repubblica"
sull'ultimo film del
regista greco-francese.
Da sottoscrivere in
pieno. Una feroce
accusa alla direzione
che la nostra società
(sempre più
influenzata da tutti
gli aspetti negativi
di quella americana)
ha ormai da tempo
intrapreso. Costa
Gavras (suoi gli indimenticabili
"Z L'orgia del
potere" del 1969
e "Missing"
del 1982) ritorna
al film politico,
al film di denuncia
del malessere che
imperversa: il profitto
vero deus ex machina
del nostro mondo,
il denaro unico motore
della nostra vita.
L'individualismo regna
sovrano, la solitudine
impera, il concetto
di solidarietà
è sparito:
ecco il quadro rappresentato
da questo film, drammatico
e ironico al contempo,
che ha impiegato due
anni per trovare un |
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produttore.
Un thriller
politico
che
ti lascia
l'amaro
in bocca,
che
ti pone
mille
interrogativi
sui
valori
in cui
crediamo
e sulla
vita
che
conduciamo:
si perde
sempre
di più
il concetto
di qualità,
l'importante
è
lavorare
ed essere
il più
forte,
essere
il primo...
e intanto
non
si ha
più
tempo
per
la famiglia,
la riflessione,
la lettura,
lo studio...
(giustamente
il regista
afferma
che
"viviamo
in una
società
di Olimpiadi
dove
essere
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quarti o quinti
vuol dire
perdere").
Fa venire
i brividi
questo ritratto
di umanità
in cui ognuno
di noi può
riconoscersi.
Dal momento
che si è
convinti che
il lavoro
sia tutto,
il perderlo
porta inevitabilmente
alla capacità
di compiere
gli atti più
estremi perché
convinti della
necessità
del proprio
gesto. Un
disoccupato
che si trasforma
in killer
per riacquistare
l'unica cosa
che può
dargli una
identità,
una personalità
(il lavoro,
appunto),
e senza odio
o sensi di
colpa, senza
cattiveria
e senza piacere.
ma per dovere-necessità-pragmatismo:
per una "giusta
causa",
l'unica causa
meritevole,
la sua. E'
semplicemente
un qualcosa
che va compiuto.
Non c'è
aggressività
spettacolare,
è semplicemente
una possibile
variante del
libero mercato:
pace e quiete
le posso ottenere
solo abbattendo
gli ostacoli,
gli altri
esseri umani,
rivali e quindi
da eliminare.
Combatto le
spietate logiche
aziendali,
la ferocia
dell'economia
globale non
per un ideale,
in nome dell'umanità
e della giustizia.
Non è
più
tempo di solidarietà,
di aiuto reciproco,
di sogno utopistico:
l'unica missione
è sopravvivere,
preservare
il benessere
finora raggiunto,
proteggere
la propria
famiglia contro
tutto e contro
tutti. Ispirato
a un romanzo
dell'americano
Donald Westlake,
il film evidenzia
che ciò
che negli
States è
ormai un imperativo
categorico
("ognun
per sé
e Dio per
nessuno")
si sta affermando
anche nella
vecchia Europa.
Ci troviamo
sempre di
più
in uno stato
di guerriglia
in cui l'unica
soluzione
possibile
ai miei problemi
è quella
dei nostri
progenitori:
diventare
un predatore.
Un film da
vedere, su
cui riflettere
e discutere.
Uno dei migliori
lavori della
corrente stagione
cinematografica
che fa onore
a chi lo ha
realizzato
e prodotto.
Un'opera in
cui tutto
funziona al
meglio, una
perfetta miscela
di estetica-intelligenza-profondità.
Un plauso
particolare
al protagonista,
Josè
Garcia, veramente
straordinario
nel suo andare
dalla commedia
al dramma
con naturalezza
e apparente
facilità
(giustamente
Costa Gavras
lo ha paragonato
a Jack Lemmon).
p.s. Bellissimo
ed estremamente
"logico"
il finale
(di Leo
Pellegrini)
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