|
|
|
|
recensione battaglia
nel cielo
|
|
Facile ironia potrebbe
farci affermare che
chi ben comincia è
a metà dell’opera.
Qui Carlos Reygadas
prende alla lettera
il banalotto detto
popolare e ci regala
un’immediata
fellatio. Che ripeterà
alla fine. La circolarità
della storia, qui
diventa orale. Ma
non parliamo certo
di tradizione. Storceranno
il naso in molti per
queste battute di
bassa lega. Avranno
ragione. Dovrebbero
fare lo stesso, però,
con film come "Battaglia
nel cielo". Film
autoriali e pretenziosi,
pellicole che danno
allo spettatore un
vago senso di sonnolenza
e di estraniazione
perché vanno
oltre la semplice
noia. Il cineasta
che ci aveva regalato
l’interessante
e faticoso (per noi
e per lui) Japòn,
prende una storia
dura, ruvida e la
usa come terreno per
esercizi di stile
fini a se stessi,
trovate di regia dall’evidente
lentezza, con una
struttura della narra- |
|
|
|
zione
–
per
non
parlare
della
sceneggiatura-
involuta
ed irritante.
Nessuna
colpa
per
i buoni
attori
costretti
ad una
performance
difficile,
in cui
l’interpretazione
per
sottrazione
e l’esposizione
crudele
dell’anima
e del
fisico
sono
di sicuro
prove
di grande
difficoltà.
Marcos
(Marcos
Hernàndez)
è
alzabandiera
dell’esercito
messicano
–
e non
è
una
battuta
triviale
-, autista
per
uno
sconosciuto
padrone,
vittima
di |
|
|
|
una povertà
non disperata
tipica di
quel sottobosco
di Città
del Messico
fatto di precarietà
e debolezza,
di indigenza
nel senso
più
ampio del
termine. Rapirà
con la moglie
(Berta Ruiz)
il bambino
di una conoscente
che, accidentalmente,
morirà.
Lo confesserà
alla giovanissima
e bellissima
Ana (Anapola
Mushkadiz),
borghese che
si prostituisce
per il piacere
di farlo.
In un cammino
di amore morboso
ed espiazione
il dramma
deflagrerà
non risparmiando
niente e nessuno.
Il film, vietato
ai minori
di 18 anni,
vede molte
scene di sesso.
Nonostante
il corpo perfetto
ed estremamente
seducente
della protagonista,
non è
certo motivo
di particolare
turbamento
o eccitazione.
Anzi, il regista
riesce ad
eliminare
ogni forza
a queste scene.
Per volontà,
e in questo
senso qualche
bella intenzione
e traccia
di bravura
si avvertono
persino nella
prima, subitanea,
fellatio,
ma anche per
incapacità,
visto che
ad un certo
punto la storia
avrebbe avuto
bisogno di
una sana iniezione
di passionalità.
Visiva, nel
girare, nelle
direttive
agli attori.
Le metafore
e il sottotesto,
lodevoli quanto
incompiuti,
hanno una
certa forza,
soprattutto
nelle intenzioni.
Evidente l’accenno
ad una lotta
di classe
che si fonda
su una disperante
incomunicabilità.
Forte la scelta
di incentrare
nella mastodontica
Città
del Messico,
20 milioni
di abitanti,
una storia
che denuncia
la società,
un mondo spersonalizzante.
La tendenza
delle fasce
più
povere a cercare
l’arma,
politicamente
scorretta
e per questo
raramente
rappresentata,
della lotta
interna. Il
bambino appartiene
ad una famiglia
povera, ma
non troppo.
Abbastanza,
però,
da suscitare
il disinteresse
delle istituzioni.
Una famiglia
come quella
di Marcos
e Berta, a
cui, per esempio,
non manca
una casa.
Ma l’auto.
Rimane il
fatto, nonostante
le intenzioni
importanti
e l’impegno,
che queste
tipologie
di film rimangono
opere di nicchia,
da festival,
che portano
lo spettatore
ad allontanarsi.
Per noia,
senso di inadeguatezza
e molto altro.
Il pubblico
va sì
preceduto,
come diceva
Brecht, ma
non seminato.
(di Boris
Sollazzo)
|
-
Scrivi la tua
recensione! |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2005.
Tutti i diritti sono riservati.
|
|
|