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A volte ritornano.
Ci sono voluti ben
64 anni per ritrovare
il cerbiatto più
famoso della storia,
non già adulto
come lo avevamo lasciato,
ma ancora giovane
fresco di traumatica
(non solo per lui)
perdita della mamma,
alle prese con un
amore paterno tutto
da sondare e costruire.
Povero Bambi. E’
difficile essere coraggiosi
con un nome così,
poi quella del padre
è un’eredità
pesante da sostenere.
Va bene che lui è
un magnifico esemplare
di cervo reale che
tutti temono e stimano
ma con ‘sta
storia del “principe
della foresta”,
il tono aristocratico,
l’andamento
impettito e la mentalità
spudoratamente snob,
è talmente
antipatico che non
appena il piccolo
sente in sogno la
voce della mamma che
lo chiama, si avventura
là dove non
dovrebbe e per poco
non ci rimette la
pelle. La morale?
Bello il papà
però la mamma
è sempre la
mamma. |
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Anche
se poi,
nel
finale,
anche
il genitore
maschio
saprà
riscattarsi
inchinandosi
ai pregiudizi
dettati
dal
ruolo
e aprirsi
a quei
sentimenti
che,
nello
stereotipo
diffuso,
poco
si confanno
all’uomo
con
la U
maiuscola.
Dopo
le meraviglie
tecnologiche
dell’animazione
digitale
della
Pixar,
la Disney
fa tabula
rasa
di quello
che
è
avvenuto
negli
ultimi
50 anni
e torna
qui
alle
origini
come
a voler
rendere
un omaggio
autocelebrativo
alla
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propria storia,
quasi un’operazione
nostalgia
in perfetto
stile old
school per
riappropriarsi
di quello
che le è
proprio, per
ricordare
quello che
è stato
e che probabilmente
non sarà
più.
Un bene? Un
male? Non
sta a noi
dirlo. Ma
ad una riflessione
non possiamo
sfuggire:
tra grandi
occhioni,
ciglia che
sbattono,
canzoncine
sdolcinate,
voci impostate,
animali antropomorfi,
linearità
di trama e
linearità
di sentimenti,
Bambi è
il tipico
cartoon infantile
più
maturo di
tanti cartoon
cosiddetti
“per
adulti”.
Nessuna complicazione
nell’intreccio,
nessuna lettura
sottotestuale
da cogliere,
nessuna retorica,
nessuna declamazione
esistenziale
e nessun muso
lungo nel
caso non ci
si senta all’altezza
dei genitori.
O forse si,
ma solo momentaneamente
perché
poi ci sono
gli amici,
il coniglietto
Tippete, i
giochi e le
risate. Così
è l’infanzia,
non piccoli
pulcini che
se ne stanno
a guardare
il cielo sospirando
nella propria
stanza. Il
senso dell’intera
operazione
forse sfugge,
senza nemmeno
un anniversario
da festeggiare,
ma i destinatari
di riferimento
di certo non
se ne preoccupano.
Anzi, dalle
risate in
sala i bambini
sembrano apprezzare,
chissà,
forse più
di Chicken
little. E
questo forse
dovrebbe far
riflettere.
(di Mirko
Nottoli)
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