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recensione il
gusto dell'anguria
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Il rischio di essere
impopolari e politicamente
scorretti è
alto. Ma scrivere
recensioni, cercare
di essere un critico,
forse, è anche
questo. Guardando
le opere scritte e
dirette da Tsai Ming-Liang
si ha l’impressione
che, come in molte
altre industrie, gli
orientali abbiano
ben poca fantasia.
Scoperto qualcosa
che piace all’estero,
come accade nell’horror
per esempio, non si
sente la necessità
di cambiare, nè
di evolversi. Vale
per Taiwan, Cina,
Corea – lo confessiamo,
il pensiero ci ha
sfiorato anche durante
l’ultimo Kim
Ki Duk-, meno per
il Giappone. Nonostante
i registi migliori,
e non solo, in quei
lidi, ora abbiano
la grande opportunità
di girare un film
l’anno. "Il
gusto dell’anguria"
sembra essere proprio
uno di questi cloni
mal riusciti, pretenziosi
e sostanzialmente
presuntuosi. Confermando
che in alcuni |
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casi
il lavoro
dei
selezionatori
delle
rassegne
cinematografiche
risulta
abbastanza
incomprensibile-
il film,
infatti,
era
nella
selezione
ufficiale
del
55°
Festival
di Berlino-.
La storia,
da quello
che
si può
evincere
da questo
film
muto,
o quasi,
vede
Taiwan
travolta
da una
grande
siccità.
L’anguria
è,
appunto,
il succedaneo
suggerito
da tutti,
e in
particolare
da una
pedante
televisione,
alla
sete.
Ma sono
molti,
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diversi
e improbabili,
i modi di
procurarsi
di che dissetarsi
e su questo
si poggia
l’opera,
interrotta
solo da intermezzi
di musical
surreali e
pop, e set
di film pornografici
improvvisati.
Oppure, e
sono le parti
migliori,
o meglio più
sopportabili,
da momenti
di intimità
dei protagonisti.
L’autore
taiwanese,
poi, dà
l’impressione
di voler raccontare
una storia
d’amore
in una realtà
in cui l’assenza
d’acqua
è metafora,
causa e teatro
dell’incomunicabilità
sovrana del
nostro mondo.
In verità
ciò
non riesce
e lui tiene
molto di più
a tenere alta
la sua fama
di regista
erotico, sensuale,
sensibile.
Il migliore.
Qui, piuttosto,
è freddo,
in tutti i
sensi. Non
sa sconvolgere,
né
attraverso
la sofferenza,
né
tanto meno
con l’eccitazione.
Assente anche
quell’ironia
che rende
i suoi lavori
gradevoli
anche nei
momenti più
ostici. Tsai
Ming- Liang,
attraverso
simbologie
ingenue e
molto pop-
televisive,
offre un’irritante
tentativo
di provocazione
e, volendo
esser buoni,
forse, accenni
di sperimentalismo.
E quelle poche
buone idee
delle scene
musicali,
colorate ed
eccessive,
non hanno
nulla del
genio che
tutti, spesso
sopravvalutandolo,
gli riconoscono.
E va detto,
visto il gioco
al massacro
a cui è
stato sottoposto
Luca Guadagnino,
a partire
dal sottoscritto,
per molto
meno. Da salvare
solo la scena
iniziale.
Scena che
molti di voi
possono immaginare
già
guardando
il manifesto.
Erotismo,
sensualità,
ironia ed
eccitante
provocazione
vengono utilizzati
solo in quei
pochi minuti.
Purtroppo.
(di Boris
Sollazzo
)
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