A HISTORY OF VIOLENCE
 

recensione a history of violence

 
Una graphic – novel noir. Questo è stato il punto di partenza di uno dei registi preferiti, più amati (e perciò criticati) dalle penultime generazioni. David Cronenberg, coscienza visionaria dell’America oscura e profonda, autore di pellicole sconvolgenti. Non solo visivamente. E, purtroppo, negli ultimi anni anche nell’accezione negativa. Ma i barlumi di rinascita che avevamo visto nel discontinuo "Spider" si sviluppano in maniera imprevedibile, anche se sostanzialmente positiva, in questo "History of a violence". Tom Stall, un ottimo Viggo Mortensen, è un padre felice di una famiglia perfetta. Il suo bar, pur non rendendolo ricco, gli guadagna la simpatia del paese e il sostentamento dei suoi. La moglie, la sempre affascinante Maria Bello, buona anche la sua prova, è una donna premurosa e innamorata. La compagna da tutti so-  
 
gnata: sensuale, disponibile – in uno stesso giorno scorazza sulla sua macchina il maritino, sbologna i marmocchi e gli regala una serata di sesso, vestita persino da liceale (non male, davvero non male)-. Sfortunatamente due loschi figuri, instabili e irritabili, irrompono nel suo locale. Pur avendo già scorto in una scena precedente un saggio della loro ferocia, il nostro Tom reagisce prontamente. Neutralizzandoli con  
con una rapidità e un’efficacia sospette. Da qui la tranquilla realtà di provincia si trasforma. Tom diventa un eroe, il film un western nell’insolita cornice dell’America profonda e bonaria – “Non mi ringraziare, Tom, sai che ci teniamo alla nostra gente” è la frase preferita dello sceriffo-. Il buono, a causa delle circostanze avverse, reincontra il brutto, un perfido Ed Harris. E si riscoprirà molto cattivo. A farne le spese, tra gli altri, un altrettanto maligno e gustoso William Hurt, bravo nonostante il ruolo. Non aggiungiamo altro al fine di non rovinare le sorprese, non trascendentali francamente. Il buon David, qui, non si scatena nella sua potenza visionaria, nelle sue citazioni, né tanto meno nella forza delle sue accuse universali. Non utilizza neanche la sua potenza immaginifica. Piuttosto si dà ad un minimalismo asciutto, improntato ad una inconsueta coerenza narrativa che sfiora quasi la banalità. E il ridicolo, nel finale. Lo fa perché, forse non è mai stato cosi semplice ed essenziale. E soprattutto non ha mai voluto esserlo tanto. E’ un Cronenberg politico, questo, infatti. Che insulta questa società, figlia ed espressione di un pensiero unico che ha portato la violenza ad essere l’elemento fondativo del suo paese, persino del suo mondo, in modo ancor più parossistico di quello che già la storia, la letteratura, l’autorappresentazione e il cinema stesso non avessero già fatto. Il film è imperfetto, cade in trappole evitabili e, nonostante gli sviluppi narrativi non eccelsi, mostra comunque un certo coraggio. Cronenberg nel dirigere con mano sicura e sceneggiatura scarna. Gli attori per soluzioni interpretative non leziose ma intense. E, a loro modo, non facili. Un film che sarebbe potuto essere molto migliore, proprio per il talento di chi vi era coinvolto e per le potenzialità della storia. Ma che comunque suscita interesse, si fa guardare e coinvolge. Con la speranza che il grande Cronenberg stia percorrendo di nuovo una parabola ascendente della sua carriera. Due piccoli indizi in merito li abbiamo raccolti.

(di Boris Sollazzo)

- Scrivi la tua recensione!
 
 
  Scheda Recensione Locandina  
 

Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2005. Tutti i diritti sono riservati.