40 ANNI VERGINE
 

recensione 40 anni vergine

 
Il commesso Andy Stitzer (interpretato da Steve Carell) è un ragazzotto particolare: ha quarant’anni ma gira ancora in bici, colleziona giocattoli e, soprattutto, è ancora vergine. Una vergogna per qualunque uomo, si capisce. Un’eresia per chiunque lo venga a sapere, colleghi di lavoro o perfetti sconosciuti, abituati a considerare ogni partner come un trofeo da vantare con gli amici, che proveranno in tutti i modi a farlo guarire. Come fosse una malattia. Da queste premesse prende il via il nuovo film diretto da Judd Apatow e scritto a quattro mani con lo stesso Carell, "40 anni vergine", una commedia romantica di certo non rivoluzionaria, ma capace di far divertire raccontandoci la storia paradossale di un eterno adolescente che, privato del suo rito di iniziazione all’età adulta, non è ancora diventato  
 
un uomo e passa le giornate a pitturare soldatini. Lo spunto narrativo, basato sull’assenza dalla vita di Andy dei simboli che contraddistinguono il maschio adulto (mancanza dell’automobile, amore per i videogiochi, verginità), offre sicuramente molti risvolti esilaranti, anche se non sempre resi al meglio dalla coppia Apatow-Carell, che scade ogni tanto nella banalità, nel già visto. Il punto di forza del  
film è costituito senz’altro dai dialoghi, veloci, ritmati e taglienti, tra Andy e i suoi amici che cercano di insegnargli come conquistare le donne, lasciando trasparire, loro per primi, tutte le proprie insicurezze e fissazioni riguardo l’universo femminile. Andy, chiuso a riccio in una disarmante normalità, è in realtà il più forte del gruppo, l’unico che riesca (anche se non proprio spontaneamente) a raccontare il proprio problema, a levarsi un peso dallo stomaco. Rinnega se stesso soltanto quando, convintosi ad approcciare le ragazze, nasconde la sua personalità e segue alla lettera i consigli “infallibili” degli amici, con risultati spesso catastrofici, per poi ritrovare il suo modo di fare di fronte all’unica donna che considera speciale. Un film molto divertente, una commedia di buon livello, più profonda e meno sguaiata di quanto possa far intendere il titolo, con tanto di morale finale. Ognuno ha bisogno di affrontare le cose a modo proprio, con i propri tempi, senza paura di essere quelli che si è.

(di Antonio Nasso)

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