tende chiaramente
ad inquadrare
l’emotività
e il vissuto
individuale
di due persone
che, completamente
ignare delle
cause e delle
implicazioni
profonde dell’attacco,
si trovano
a dover combattere
contro la
morte. Operazione
che potrebbe
avere il suo
lato interessante
se non fosse
che il regista
non ha assolutamente
niente da
dire. E per
riempire questo
vuoto ha ben
pensato di
infarcire
la storia
di melensaggini,
patetismi,
sentimentalismi
a spron battuto
che finiscono
per andare
esattamente
nella parte
opposta a
quella desiderata.
Invece di
avere un approfondimento
delle affezioni
individuali,
siamo di fronte
ad una totale
omologazione
emotiva, dove
trionfano
l’amore
parentale,
la devozione
coniugale,
la gioia di
avere una
famiglia rappresentati
esattamente
come mille
volte abbiamo
visto in decenni
di soap opera
e junk movies.
In “World
Trade Center”
qulasiasi
tipo di scavo
psicologico
autentico
rimane fatalmente
assente per
far spazio
ad un dolore
falso e incolore
veicolato
da un montaggio
alternato
(dentro loro
che languono,
fuori la famiglia
che si preoccupa
e i soccorsi
che si muovono)
inesorabilmente
banale. Nemmeno
le ottime
recitazioni
di Nicolas
Cage, Michael
Peña
(che, dopo
“Crash”,
conferma la
sua bravura),
Maria Bello
e Meggie Gyllenhaal
riescono a
risollevare
le sorti di
quest’ennesimo
buco nell’acqua
di Oliver
Stone. Tra
enfatici ralenti,
esaltazione
dell’eroismo
individualista,
apparizioni
divine e sogni
ad occhi aperti
fotografati
come una pubblicità
di assorbenti
si finisce
per chiedersi
se questo
modo di fare
cinema di
testimonianza
non sia sminuente
e financo
offensivo
proprio per
chi ha provato
il terrorismo
in prima persona.
(di Marco
Santello
)