WORLD TRADE CENTER
 

world trade center recensione

 
Pochissime sono state le persone trovate vive sotto le macerie delle due torri cadute a Manhattan poco meno di cinque anni fa’. Due di loro sono John McLoughn e William J. Jimeno, poliziotti di una squadra del dipartimento di New York incaricata di coadiuvare le operazioni di sgombero della torre numero 1. L’incredibile salvataggio è stato possibile solo grazie al generoso aiuto di un ex-marine che quel fatidico giorno decise di recarsi autonomamente a ground zero per dare una mano ai soccorritori. È tutto successo veramente, pochissimo è stato aggiunto al resoconto dei sommersi e poi salvati. Eppure difficilemte si riesce a trovare il benché minimo accenno di verità in questa attesissima pellicola di Oliver Stone. Qui in America il film ha incassato 4 milioni e mezzo di dollari il primo giorno e 26 milioni totali nei primi 6, ha avuto  
 
una distribuzione capillare in migliaia e migliaia di sale e ha goduto di una risonanza mediatica amplissima; tutto ciò non meraviglia affatto se si considera la ferita ancora aperta che attanaglia molti cittadini statunitensi. Ciò che meraviglia e, senza esagerare, indigna è come si sia potuto realizzare un prodotto di livello cosí infimo su una tragedia che tanto a fondo ha toccato l’esistenza di un popolo. L’intento registico  
tende chiaramente ad inquadrare l’emotività e il vissuto individuale di due persone che, completamente ignare delle cause e delle implicazioni profonde dell’attacco, si trovano a dover combattere contro la morte. Operazione che potrebbe avere il suo lato interessante se non fosse che il regista non ha assolutamente niente da dire. E per riempire questo vuoto ha ben pensato di infarcire la storia di melensaggini, patetismi, sentimentalismi a spron battuto che finiscono per andare esattamente nella parte opposta a quella desiderata. Invece di avere un approfondimento delle affezioni individuali, siamo di fronte ad una totale omologazione emotiva, dove trionfano l’amore parentale, la devozione coniugale, la gioia di avere una famiglia rappresentati esattamente come mille volte abbiamo visto in decenni di soap opera e junk movies. In “World Trade Center” qulasiasi tipo di scavo psicologico autentico rimane fatalmente assente per far spazio ad un dolore falso e incolore veicolato da un montaggio alternato (dentro loro che languono, fuori la famiglia che si preoccupa e i soccorsi che si muovono) inesorabilmente banale. Nemmeno le ottime recitazioni di Nicolas Cage, Michael Peña (che, dopo “Crash”, conferma la sua bravura), Maria Bello e Meggie Gyllenhaal riescono a risollevare le sorti di quest’ennesimo buco nell’acqua di Oliver Stone. Tra enfatici ralenti, esaltazione dell’eroismo individualista, apparizioni divine e sogni ad occhi aperti fotografati come una pubblicità di assorbenti si finisce per chiedersi se questo modo di fare cinema di testimonianza non sia sminuente e financo offensivo proprio per chi ha provato il terrorismo in prima persona.

(di Marco Santello )

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