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L'immigrazione è un tema difficile e scottante la cui gravità spesso ritorna alla nostra memoria solo grazie a qualche bella pellicola che decide di affrontare direttamente l'argomento. Non che non ci siano stati altri film di qualità al proposito, anzi la lista è doverosamente lunga; ma questo non attenua di certo la durezza di alcune immagini ogni volta che ci vengono riproposte in una sala cinematografica, né i titoli di coda alla fine della proiezione dovrebbero ogni volta segnare la chiusura del nostro spazio emotivo per giustificare la successiva indifferenza. Già, forse l'indifferenza può considerarsi la chiave interpretativa di "Welcome", il film francese di Philippe Lloret, le cui copie sono state quadruplicate nel periodo immediatamente successivo alla sua uscita in Italia, a causa del grande successo di incassi che la pellicola ha |
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conosciuto e sta conoscendo tuttora, alla fine del 2009. E anche l'iniziale basso numero di copie può lasciare adito a qualche interrogativo su quelle che erano in principio le aspettative per questo genere di cinematografia. Si diceva, dunque, che l'indifferenza è il punto di partenza, lo strumento ermeneutico per la comprensione. È quella stessa indifferenza che si pone, in un primo momento, alla base del comportamento |
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di Simon, il protagonista del film. Indifferenza di un cittadino francese residente a Calais dove partono i traghetti per l'Inghilterra; indifferenza di un uomo per i tanti immigrati clandestini che si assiepano lungo le banchine del porto per cercare un mezzo qualsiasi per attraversare la Manica; indifferenza di Simon e di tutti gli altri abitanti, un'indifferenza che è rafforzata dalle pene durissime della legislazione francese per chiunque voglia aiutare un clandestino, anche solo per dargli un passaggio in macchina o, peggio ancora, offrirgli un posto dove dormire la notte. Ma l'indifferenza di Simon viene meno gradualmente, poco alla volta, forse quasi in modo impercettibile: Simon incontra un ragazzino di diciassette anni proveniente dall'Iraq, per la precisione dal Kurdistan, che vuole imparare a nuotare per attraversare la Manica. Una vera follia, una pazzia tentata in passato solo da pochissimi nuotatori, professionisti e temerari, accompagnati però da tanto di barche, scorte, mezzi di soccorso e quant'alto. Ma per un ragazzino è solo un'impresa destinata alla tragedia, annunciata quanto inevitabile. E poi per quale motivo? Per il "solito" miraggio di una vita diversa, di una prospettiva di esistenza migliore? No, peggio ancora. Per amore. Perché il ragazzino diciassettenne si chiama Bilal e vuole raggiungere la ragazza di cui è innamorato, irachena anch'essa, la cui famiglia ha avuto la fortuna di potersi trasferire a Londra. Ed è qui che l'indifferenza di Simon non può restare più tale, lui, che non ha avuto il coraggio di attraversare la strada per salvare il proprio matrimonio come egli stesso dichiara, decide ora di aiutare questo giovane clandestino che si è messo in testa di raggiungere a nuoto le coste britanniche. E lo aiuta prima insegnandogli a nuotare, poi ospitandolo a casa propria con tutti i rischi che questo comporta. Ma non può né vuole indurlo a tentare l'impresa della traversata della Manica, perché questa resta comunque una follia; Simon lo sa bene, lui che è stato campione nazionale di nuoto in passato. Il resto non lo diciamo ma sappiate che il film è bellissimo, intenso, angosciante e soffocante per certi versi, senza più possibilità di respirare. Perché come si fa a respirare quando vedi qualcuno che ti denuncia alla polizia perché hai dato da mangiare e un letto a un poveretto che viene da una terra martoriata dalla guerra e dalla fame? Come fai a respirare quando devi considerare un criminale chi vorrebbe aiutare un emarginato, un reietto, un immigrato clandestino appunto? O quando dovresti considerare criminale, come dalle nostre parti, un medico che cura un immigrato e poi decide di non denunciarlo alle forze dell'ordine? Eppure quel "Welcome" che c'è scritto sui nostri tappetini d'ingresso alle nostre dimore dovrebbe significare tutt'altro, ma le apparenze ingannano, si sa. Chissà che un giorno la parola indifferenza non possa essere sostituita da integrazione, da
rispetto, o da qualche altro vocabolo che possa sembrare più umano, meno freddo. Anche se sappiamo che il nodo dell'immigrazione resta comunque estremamente complesso, sociologicamente e antropologicamente complicato e senza chiare soluzioni a portata di mano, come dicono tanti: è vero, ci sono i problemi della conformità alle leggi dei paesi ospitanti, della delinquenza e dello sfruttamento della clandestinità. Ma "Welcome" mostra un altro aspetto legato all'immigrazione, un aspetto innegabile e indiscutibile che si deve relazionare all'atteggiamento da tenere nei confronti di queste masse di uomini in fuga, e non è un aspetto trascurabile o di poco conto, per niente. Vincent Lindon è Simon, attore capace di entrare nel ruolo più con la gestualità e con gli atteggiamenti da uomo qualunque che con tante smorfie sul viso; Firat Ayverdi è il giovanissimo curdo che vuole tentare l'impresa disperata della traversata e che trova nell'amicizia di Simon un appoggio e un sostegno inaspettati. Infine, non è un caso che il film abbia riscosso un grande successo all'ultima Berlinale. Anche questo qualcosa vorrà pur dire.
(di Michele Canalini )
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