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C’è un
filone tipico della
narrativa fantastica
– e, per mutuazione
culturale, fagocitato
successivamente anche
dal cinema –
che si impone a partire
dal tardo Ottocento,
nel momento in cui,
cioè, l’immaginario
collettivo inizia
a elaborare un più
complesso concetto
di “macchina”.
In esso convivono
istanze contraddittorie:
l’entusiasmo
per le prospettive
aperte dalla tecnologia
da una parte, la paura
di un futuro sinistro,
disumanizzato, dall’altra.
È il filone
della distopia (dis-topia,
opposto a utopia),
quello di Wells e
di Philip Dick, per
intenderci, quello
di Metropolis e Brazil.
Aspetti ricorrenti
di tale trattazione
sono l’estremizzazione
sociale, il paradosso
dantesco, il fantasma
di un’apocalisse
che si avvera o, talvolta,
che è già
stata persino assimilata.
E questa tradizione,
che ha da tempo contagiato
le pratiche |
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nipponiche
dell’anime
e del
manga,
adattandosi
all’animazione
infantile
occidentale
sforna
oggi
Wall-E,
ultimo
lavoro
Pixar.
Infantile,
in realtà,
chissà
poi
quanto.
Nonostante
il coté
ecologico,
Wall-E
non
è
infatti
l’eco
dell’ennesima
litania
algoriana,
tanto
meno
un fumettoso
trattato
di pedagogia
(e se
così
fosse,
lo sarebbe
nel
significato
più
alto
del
termine);
è,
piuttosto,
uno
dei
più
fulgidi
punti
di contatto
tra
anima-
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zione mainstream
e arte. Dopo
"Ratatouille",
parlatissimo,
scoppiettante,
la Disney
sforna un’opera
dolce ma al
contempo profondamente
amara, controllata,
praticamente
muta (e Appuntamento
a Belleville,
primo riferimento
in cui incappa
la memoria,
era figlio
dell’Europa
e di un’innegabile
connotazione
autoriale).
Un affresco
in cui alla
Terra è
riservato
un futuro
spietato,
tossico, ai
suoi (ex)
abitanti la
condizione
di corpi abulici,
obesi, teledipendenti;
un oracolo
a tratti raggelante,
se è
vero che il
barlume di
una ricostruzione,
se c’è,
è concesso
solo sui titoli
di coda. Wall-E
è un
rincuorante
esempio di
ciò
che la tecnologia
può
fare quando
non si limita
a essere mera
tecnica, tripudio
di algoritmi,
fragile involucro
in computer
grafica erto
a nascondere
un vuoto indifferente.
Per rimarcarlo,
piace ricordare
la scena della
danza nello
spazio che
celebra l’amore
impossibile
tra Wall-E
e la sua compagna,
l’”Eva
futura”
di Villiers
de l'Isle
Adam –
che è,
tra l’altro,
solo una delle
tante citazioni
sparse nel
film.
(di Lorenzo
Donghi )
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