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recensione vogliamo
anche le rose
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“Donna non si
nasce, ma si diventa”
scriveva, subito dopo
il secondo conflitto
mondiale Simone de
Beauvoir. Certo è
che “Essere”
donna, è stata
una conquista epocale,
un ribaltamento culturale
da una condizione
di sudditanza e dipendenza,
che ha permesso l’affermazione
dell’unicità
e della differenza
della condizione femminile,
della femminilità.
Dall’alienazione
all’oppressione,
frutto di reti e costrutti
culturali di un potere
maschilista atavico,
la donna acquista
la consapevolezza
di cosa significhi
scegliere. Scegliere
la sessualità,
la maternità,
la famiglia, il lavoro
salariato, scegliere
la costruzione della
propria identità
sociale e il concetto
di genere. “Vogliamo
anche le rose”,
ultimo lavoro di Alina
Marazzi (“Un’ora
sola ti vorrei”),
film documentario,
ci parla di quell’identità
di genere femminile,
attra- |
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verso
lo sguardo
su un
percorso
storico
che
va dagli
anni
sessanta
alla
fine
degli
anni
settanta,
identità
imbrigliata
e stretta
come
da fili
d’acciaio
in pregiudizi
e discriminazioni
espresse
nelle
stesse
leggi
della
legislazione
italiana.
La Marazzi
racconta
questo
“viaggio
al femminile”
attraverso
la lettura
di tre
diari
scritti
da tre
donne
diverse,
in periodi
diversi,
espressioni
di universi
personali
differenti,
intrisi
di sentimenti
e sensazioni
soffo-
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cati, irrisolti
e a volte
non compresi.
Come spesso
succede, l’artista
non sa come
la sua opera
riuscirà
alla fine
del lavoro.
Bene, a lavoro
compiuto,
“Vogliamo
anche le rose”
è un
gioiello artistico,
un’opera
mirabile,
che si presenta
con notevoli
pregi, dalla
ricostruzione
narrativa,
frutto di
una sofisticata
ricerca documentaristica,
che la Marazzi
ci porge con
immagini di
una condizione
femminile
italiana ripresa
da telecamere
RAI, filmati
privati riciclati,
ad un montaggio
spettacolare,
in un gioco
accattivante
d’animazione
e realtà.
Senza cadere
in sentimentalismi
nostalgici
o toni d’accusa
inquisitori,
Alina Marazzi
usa il documentario
per raccontare
la storia
culturale
italiana del
soggetto donna,
in un rapporto
umano molto
intenso e
riconoscendo
pari dignità
tra lo sguardo
del regista
e quello del
protagonista.
Riesce, Alina
Marazzi, a
rendere al
film un’originale
tensione poetica
e narrativa,
senza per
questo sottrarre
ad esso il
suo carattere
straordinario
di documento
antropologico
su uno spaccato
di storia
italiana che
rappresenta
quegli elementi
strutturali
e culturali
che poi condizioneranno
il futuro
dagli anni
ottanta in
poi. Un documento
dunque, caratterizzato
da un punto
di vista personale
e riconoscibile
all’interno
di un genere
e un regime
di scrittura
spiazzante
e convincente.
Alina Marazzi
ci porge la
storia di
una cultura
al femminile,
in un linguaggio
filmico soggettivo,
straordinario
strumento
d’indagine,
che organizza
la materia
dell’esperienza
visiva, tanto
efficacemente
da rendere
intellegibili
tratti di
una cultura,
di un’epoca
al femminile,
altrimenti
confusi. Il
ruolo fondamentale
affidato al
montaggio
è stato
il punto chiave
che ha permesso
di cogliere
analiticamente
la storia,
i fatti, le
cose, gli
eventi, ossia
la dialettica
della storia
reale, che
le singole
inquadrature
non sarebbero
state in grado,
da sole, di
restituire.
“Vogliamo
anche le rose”
non si limita
a raccontare
il processo
storico dell’identità
di genere
nella sua
rivoluzione
epocale, ma
in una sorta
di drammaturgia
filmica del
reale fa emergere
gli elementi
essenziali
che soggiacciono
ad una ristrutturazione
delle coscienze
femminili,
ad una messa
a fuoco dei
valori e delle
scelte e dei
diritti negati
e violati.
Conflitto,
conflitto,
conflitto!
La conquista,
se di conquista
si può
parlare, non
è stata
lineare, spontanea
e pacifica.
Nell’oggi-presente
emergono ancora
tutte le contraddizioni,
temi irrisolti
e messi in
discussione.
Nel 1968 La
Corte Costituzionale
dichiara illegittima
la norma che
punisce l’adulterio.
La legge n.
151 del 20-5
1975, sulla
Riforma del
diritto di
famiglia,
recepisce
i mutamenti
culturali
in atto nella
società
italiana rispetto
alla posizione
ed al ruolo
della donna.
La legge del
22 maggio
1978, legittima
la tutela
sociale alla
maternità
e sull’interruzione
di gravidanza.
L’abrogazione
di una “chicca”
presente nel
nostro codice,
ossia la rilevanza
penale della
causa d’onore
e del matrimonio
riparatore,
riscatta nella
normativa
la credibilità
di un cambiamento
culturale
in atto dell’identità
di genere
femminile.
(recensione
di Rosalinda
Gaudiano
)
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anche le rose"! |
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