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Nel panorama del cinema italiano mancava un prodotto del genere. Indichiamo la parola prodotto in quanto definire "Visions" un lungometraggio a tutto tondo (sarebbe meglio scrivere tonfo) è un'offesa al buon senso registico. Pubblicizzato come il film italiano con il cast e i mezzi americani, co-prodotto con denari oltreoceano e girato in digitale (sgranato e grezzo) vorrebbe ambire a guadagnarsi un tanto di credibilità ma annega incapace di guadare il fiume della noia. Musicato in fastidiosa pompa magna, spara subito la prima cartuccia rimandando alla tradizionale caccia al serial killer. All'uccisore non piace ripiegare su una sola vittima, ma allestisce condanne corali con l'ausilio di trappole meccaniche sofisticate (zio Jigsaw insegnava e razzolava decisamente meglio) e alla sola scelta o mossa |
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sbagliata degli investigatori e di chi decide, conduce il gruppo di malcapitati di turno per direttissima alla morte. Un criminologo psichiatra opera la scelta inappropriata e dopo il tragico errore, si ritira in un ospedale di provincia ad assistere persone traumatizzate da eventi catastrofici. Incontra Matt, giovanotto smemorato che ottiene la luccicanza in seguito a un incidente d'auto. Le visioni che lo angustiano |
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sembrano avere un legame strettissimo con il Killer Giustiziere di gruppi che non si è ancora ritirato in pensione e, anzi, ha qualche conto in sospeso. Dialoghi scritti con l'accetta, personaggi ancor meno di spessore e che interagiscono tra loro come automi, ripetendo concetti e frasi come replicanti malprogrammati: nemmeno il finale a domino, che ricombinerebbe tutte le tessere del puzzle perse nei rivoli della trama (compresa una ridicola ricerca su google per trovare il serial killer in una chat), recupera quel tanto di credibilità necessaria a poter chiamare Visions, un thriller. Che la sonnolenza sia con voi.
(di Daniela Losini)
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