VIAGGIO IN INDIA
 

recensione viaggio in india

 
Viaggio in India, deviante traduzione del titolo Scream of the Ants (L’urlo delle formiche), è il nuovo film del maestro del cinema iraniano Mohsen Makhmalbaf, conosciuto da noi soprattutto per Viaggio a Kandahar e Sesso e Filosofia. Racconta la storia di una coppia di freschi sposini che intraprende un viaggio nell’affascinante terra indiana. I due protagonisti sono la conferma che gli opposti si attraggono, dal momento che lei è una credente mentre lui un ateo materialista. Il viaggio non farà che evidenziare due differenti visioni del mondo: lui è uno scettico, un disilluso, troppo afflitto dai problemi del mondo, dalle ingiustizie e dalla povertà per essere spensierato; lei, invece, fa di ogni istante la sua ragione d’esistenza, è una donna che si accontenta delle piccole cose perché alle grandi ci pensa il Grande Architetto. Così, il viaggio in  
 
India che faremo con loro godrà di due prospettive: un occhio sull’estrema povertà che attraversa il paese, l’altro sulle bellezze paesaggistiche che ne fanno un luogo spirituale. Scopo del loro viaggio è la ricerca di un santone che potrà fornire loro le risposte adeguate a tutte le loro domande. Il risultato sarà nessuna soluzione definitiva, ma domande sempre più omnicomprensive. La prima parte del film è  
molto documentaristica e ci ricorda l’occhio testimoniale che si addentrava nell’Afghanistan distrutto di Viaggio a Kandahar; la seconda parte, invece, è caratterizzata da una maggiore cura estetica e forse un po’ troppo manieristica, come Sesso e Filosofia. Una riflessione sulla vita e sulla religione che offre varie prospettive senza annullarle in una soluzione finale che, in questo caso, risulterebbe insopportabile. Pur con qualche caduta di stile e qualche eccesso di stile, il film mantiene una visione ampia e aperta che è la condizione di possibilità per la problematizzazione del reale. Che il cinema sia lontano o vicino al mondo poco importa; ciò che conta è che lo metta in discussione, lo rivolti, offrendoci sguardi obliqui e laterali. Perché, si sa, l’univoca visione diretta non esiste.


(recensione di Delio Colangelo )


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