VIA VARSAVIA
 

recensione via varsavia

 
Emiliano Cribari, giovane regista fiorentino indipendente, con il lungometraggio “Via Varsavia” chiude la trilogia iniziata con “La ricreazione”, ed anche, come lui sostiene, il suo cinema di parola. Cribari introduce una tipologia comunicativa cinematografica che si differenzia dal fenomeno delle mass-culture o proletarizzazione dell’arte cinematografica. Il suo modo di fare cinema è frutto di un’elaborazione percettiva del vissuto, della memoria individuale, delle sensazioni ed emozioni che costruiscono ogni identità, il sé soggettivo che si confronta con il quotidiano della vita di tutti i giorni. “Via Varsavia” narra Firenze, dove in un piccolo teatro del centro va in scena uno spettacolo. La platea è quasi vuota, e sul palcoscenico c’è lei, Francesca (la bravissima Erika Ranai), condannata a morte per un atto di cannibalismo,  
 
compiuto in America, nei confronti del fratello. Francesca ha un’ora di vita prima dell’esecuzione tramite sedia elettrica. Così il palcoscenico, la condanna a morte, l’ora che resta, sono le metafore che Cribari usa perché la protagonista acquisti una sorta di ubiquità tra passato e presente, un viaggio introspettivo, che la riporti all’interno dei confini della sua esperienza vissuta. Ben studiato il linguaggio comunicativo che si articola in una studiata utilizzazione delle immagini girate tutte in digitale, con movimenti di macchina ben sincronizzati, il tutto lavorato in una strategia di montaggio che alla fine restituisce quel fine comunicativo che il film si propone. Nella fase iniziale, infatti, Cribari c’induce a pensare che quasi si avventuri
in un percorso di ascesi, di astrazione, prediligendo una scrittura scomposta, ma che ricompone nella verbalizzazione esauriente e totalizzante della recitazione di Francesca, nell’inquadratura a tutto campo del suo viso. Francesca è il soggetto che si confronta con sé stessa. L’inquadratura continua del viso della Ranai, espressione della sua anima in movimento, tiene “sotto tiro” una soggettività, quella di Francesca, in stretto rapporto con la modernità. Alla fine Cribari con “Via Varsavia” usa il linguaggio del teatro attraverso lo strumento cinematografico. E come è prerogativa nella comunicazione teatrale, predilige la fisiognomica. Non a caso, l’attore sa che il soggetto che interpreta ha un volto, un viso, che é espressione delle proprie emozioni. Se il cinema è arte della complessità, luogo in cui convergono ricerca estetica, linguaggio e mercato, il cinema è anche arte in continuo movimento, stimolata a sperimentare nuove possibilità espressive, e quindi a rimettere in gioco nuovi linguaggi. Partendo da questo assunto, questo giovane regista dimostra un impegno costante nella caratterizzazione delle sue opere, fedele ad una sua ricerca, ad un modo proprio di scrivere sceneggiature e di fare regia.

(recensione di Rosalinda Gaudiano )


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