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"Verso l'eden" è l'ultimo film di un regista che in Francia oltre ad essere famoso - e pluripremiato - è attivo da quasi cinquant'anni: Costa-Gavras. Se il nome non suona particolarmente francese, è perché il regista nacque in Grecia, per poi emigrare a Parigi: un parallelo più che interessante con la storia del giovane Elias (Riccardo Scamarcio) che abbandona il Paese su una carretta del mare, inseguendo il suo eden, Parigi appunto. E va bene, so a cosa state pensando, ma Scamarcio non è solamente 'l'uomo perfetto' che vive 'tre metri sopra il cielo', né 'il figlio unico' che 'ha voglia di te'. Lasciate stare per un momento la sua eredità cinematografica costruita in questi
fortunatissimi sette anni di carriera - debuttò nel 2002 ne "La meglio gioventù" ricordate? - la figura del divo che tanto piace ai ragazzini insomma. Vi |
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assicuro che uno Scamarcio così non lo avete mai visto. La storia di Elias è la storia di un immigrato, o meglio di un immigrante: è la storia di un viaggio, una moderna Odissea che inizia nel mar Egeo, il mare di Ulisse, e finisce magicamente a Parigi. Magicamente sì, perché la casualità degli eventi, il loro dolce concatenarsi, guidano un protagonista spaesato tra i paradisi e gli inferni contemporanei, quelli riservati ai soli |
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immigrati. L'Odissea però è ciclica, Ulisse ritorna, mentre Elias fugge la sua terra per arraffare goloso le promesse di una vita migliore, un posto da uomo nella ricca Europa; e per riuscire nella sfida, lui, partorito dal mare, il dio 'Nettuno Scafista' (inizierà la sua epopea nudo, bocconi su una spiaggia, dopo un naufragio), come Odisseo affronterà i mostri, moderni, e metterà in discussione i miti della nostra epoca: Ulisse voleva ritrovare il suo mondo e se stesso, Elias cerca di costruire il suo. Il film è lontano da un documentario di denuncia sociale, è un ritratto, fiabesco e puntualmente ironico, di un copione sfortunato che ogni giorno, in barba ai tagli del governo, si recita nel mare e sulle spiagge del Mediterraneo. Scamarcio supera la prova, c'è poco da dire. I maligni affermano sia merito dell'unica decina di battute recitate in tutto il film. Forse. O forse si tratta semplicemente di bravura. Il suo sguardo è quello costantemente spaesato di un emigrante: uno sguardo curioso, furbo e intelligente, ma anche spaventato, dubbioso e impotente. La figura di Elias è quella dell'Immigrato con la maiuscola, senza nazionalità. Viene da un Paese - si chiama proprio così: Paese - presumibilmente adagiato in qualche calla mediterranea, ma anche no, e soprattutto parla una lingua sconosciuta - inventata ad hoc per il film - che rendendolo fortemente estraneo all'esperienza dello spettatore, forgiata dai bollettini televisivi su questa o quella etnia che compie questo o quell'altro abuso, gli garantisce un forte grado di immedesimazione. Elias conserva in se la tenerezza di chi non ha nulla, la vitalità di chi gioca con la propria vita. Il suo problema non è la difficoltà a installarsi, ma potersi fermare in un luogo senza essere perseguitato. E' perennemente braccato, in fuga. Avrà requie? Nel grado in cui il prossimo è pronto ad accettarlo, ovviamente. Un ultimo pensiero, sui vestiti che Elias indosserà: rubati, donati e a volte scambiati. Amuleti magici - e la memoria corre al Gatsby di Fitzgerald, o più indietro al Sorel di Stendhal - d'integrazione. Tutta esteriore e di comodo, sinonimo occidentale.
(di Marco Trani)
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