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Locandina "Venere nera" |
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Parigi 1817, in una sala dell’Accademia Reale di Medicina, illustri scienziati argomentano sulle caratteristiche fisiche di Saartjie Baartman, una giovane schiava di etnia khoi, che tutti, sia a Londra che a Parigi, conoscevano come “la Venere ottentotta”. Saartjie Baartman (Yahima Torrés), originaria del Sudafrica, fu portata a Londra nel 1810 dal suo padrone Caezar (Andrè Jacobs), individuo senza scrupoli che sfruttava la donna come un animale da circo, esponendola in spettacoli davanti ad un pubblico dei bassifondi londinesi che si divertiva, anche temendo la creatura con fattezze e comportamento molto simili a quelle di un orangotango. La donna da Londra viene portata a Parigi sempre dal suo aguzzino e venduta da questi ad un losco individuo, che spinge la poveretta alla fine in un bordello. Storia vera, quella della “Venere |
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ottentotta” che il regista tunisino Abdellatif Kechiche (Cous Cous) ha deciso di raccontare e portare sul
grande schermo con il titolo “Venere nera”. Storia amara, chiamiamola anche brutta e disonorevole per la Francia dell'epoca che con l'illustre anatomista Georges Cuvier, aprì una pagina raggelante sul modo in cui venne recuperato e vivisezionato il corpo della poveretta, morta di sifilide e di polmonite, i cui |
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organi vennero esposti fino al 1974 (circa un secolo e mezzo) al Musée de l'Homme di Parigi. Kechiche racconta la storia di Saartjie integralmente e lo fa con una scrittura filmica incisiva e convincente, incollando la mdp sui volti dei personaggi, penetrando nelle loro anime corrotte e senza morale. Scruta il volto di Saartjie, muto e arrendevole, denuda la maschera di una donna succube e sofferente, che tutti guardano, inorridendo, trastullandosi, ed … eccitandosi. Kechiche ricostruisce gli ambienti dei bassifondi londinesi, i personaggi ambigui, le voci stridule e tonanti, i volti abbrutiti e madidi di sudore. E gli ambienti dell'alta borghesia parigina, gente con il gran gusto di beffarsi di una donna di colore e considerarla un fenomeno da baraccone per dar sfogo ad istinti lussuriosi miseri e spregevoli. Kechiche, però, non riesce a calibrare bene i tempi dello svolgimento del racconto. “Venere nera” pecca di un tempo esageratamente prolisso sulle performance circensi di Saartjie, che predominano tutta la prima parte del film. La seconda parte pecca invece su un'eccessiva focalizzazione a senso unico sulle squallide prestazioni sessuali della giovane donna, emarginando il mondo personale di questa, le sue qualità di danzatrice e musicista, le sue emozioni, che ella esprime in qualche sequenza con lacrime che le sgorgano copiose per la violenza morale subita. Yahima Torrés non è un'attrice professionista, Kechiche l'ha reclutata dalla strada e scelta dopo un provino. Nonostante la sua non professionalità, la Torrés interpreta il ruolo di Saartjie Baartman alla perfezione. “Venere nera” alla fine riesce molto bene nella sua denuncia verso autorità scientifiche ed anche
politiche francesi che hanno permesso di oltraggiare la persona e la sua memoria, quale fu di Saartjie Baartman. I suoi resti (scheletro, vagina e cervello) sono stati esposti nel Musée de l'Homme fino al 1974, poi relegati nei depositi del museo fino al 2002, anno in cui il Sudafrica riesce a far riportare gli organi ed il corpo della donna a Città del Capo e darle onorata sepoltura. Senza dubbio il lavoro di Kechiche ha una sua forza di denuncia che si esprime interamente nella rappresentazione del soggetto del film, purtroppo diluendo troppo l'essenza dell'affronto e del dramma morale.
(recensione di Rosalinda Gaudiano )
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