VENDICAMI
 
locandina Vendicami

recensione Vendicami

 
Johnnie To prende una storia noir la popola dei gangster d'ordinanza, aggiunge lealtà, maschia amicizia, devozione e vendetta. Prende la strana e dolente faccia di Johnny Halliday e la piazza al centro dello schermo: una strana faccia piallata dal tempo e dalla vanità. Occhi liquidi di ghiaccio che ribollono del desiderio di pareggiare i conti. Gli hanno ammazzato i nipoti, il genero e ridotto la figlia (la bravissima Sylvie Testud vista nello splendido "Lourdes") ai limiti della vita. La splendida scena d'apertura catapulta subito lo spettatore dentro alla vicenda: il sangue innocente impregna la moquette, le pupille dilatate della sopravvissuta fingono morte e devono trattenere lo strazio. Promette alla figlia di vendicarla e mentre torna all'albergo alveare nel quale alloggia, incontra tre ceffi che hanno appena concluso un  
 
incarico. Stabilisce un patto con loro. Ma ha una pallottola nel cervello che gli fotte la memoria e, ogni volta, deve ricomporre il nastro delle sue azioni. Fotografa e appunta pensieri. "Che senso ha vendicarsi se non si ricorda niente?" Poetico, dilatato, surreale, bellissimo: vincitore dell'ultimo Festival Noir di Cormayeur, "Vendicami" emana la lucentezza necessaria per affascinare ed elevarsi dalla massa di film insulsi che imperversano nelle   recensione Vendicami

sale. Basterebbe elencare la magnetica presenza di Anthony Wong che colma lo schermo, lo sguardo perso di Hallyday sotto la pioggia mentre cerca i volti familiari, la fotografia nitida, le sparatorie coreografate, il dolore di avere/essere una storia e non potersene cibare per trovare una ragione di vita, per provare a dire qualcosa in più di un'opera personale come questa. Metafora angosciosa dell'affidarsi agli altri nel momento della necessità: ti volti e non c'è nessuno. Ti volti e ti ritrovi sul baratro. Ti volti e solo le pallottole possono salvarti.


(di Daniela Losini )


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